Omelia (10-02-2016)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Ottavio De Bertolis

E' interessante osservare che tutte le religioni conoscono tempi di penitenza, di digiuno e di preghiera, e così anche noi, come ricordiamo particolarmente in un giorno come questo. Eppure sarebbe interessante riconoscerne la diversità: noi digiuniamo come digiunano gli altri? Il nostro tempo santo della Quaresima è come altri tempi forti di penitenza, come il Ramadàn, ad esempio, che altri conoscono, e che tra l'altro osservano con un rigore ben più stretto di questi due nostri mezzi pasti oggi e il venerdì santo? In altri termini: perché digiuniamo, o dovremmo digiunare, o perché dedicarci al silenzio e alla preghiera oggi più di prima?
Senza essere un esperto di religioni comparate, mi pare di potere dire che l'uomo digiuna a sconto dei propri peccati, quasi offrendo una pena in riparazione delle proprie colpe, ovvero che si raddrizzano le proprie strade, si rifà diritto il proprio cammino, si ritorna al Signore con tutto il cuore ˗ come ci chiede lo stesso Gioele che abbiamo proclamato ˗ per provocare od ottenere che il Signore, che tutti proclamiamo clemente e misericordioso, lento all'ira e di grande amore, si ravveda riguardo al male e lasci dietro di sé una benedizione, al posto della maledizione che certamente meriteremmo. In fondo, questo sembra essere la cosa più urgente: per evitare il castigo, l'ira divina, dobbiamo lasciare tutti le nostre occupazioni private pure importanti, riunirci tutti insieme, piangere e gridare supplici il nostro pentimento. In questo senso è davvero maestosa la scena che immagina la prima lettura, e che in effetti io non ho mai vista realizzata, anche se mi piacerebbe: i sacerdoti che piangono davanti all'altare, vecchi, fanciulli e lattanti ˗ che certo grandi colpe non possono avere, ma che sono peccatori anche loro perché partecipano dell'iniquità di tutto il popolo, compresi i loro papà e mamme dei quali sono appunto degni figli ˗ in una grande assemblea liturgica per chiedere scusa a Dio di tutte le mancanze commesse. Perfino lo sposo e la sposa devono uscire dal talamo, dove probabilmente erano impegnati in faccende abbastanza coinvolgenti e francamente assai piacevoli, per dedicarsi a qualcosa di molto più importante: si tratta di non permettere a Dio che esponga il suo popolo alla derisione di tutti, che non permetta il crollo e il fallimento della sua opera, di Israele. La scena è anche molto gustosa dal punto di vista letterario e descrittivo: pare di vederli uscire da una stanza in vestaglia, o in mutande, tutti di corsa, perché è suonato il corno in Sion, una specie di allarme, e tutti devono correre al più presto.
Le espressioni di Paolo del resto potrebbero essere intese anche in questo senso: "ecco ora il momento favorevole, ecco ora il tempo della salvezza", adesso è il periodo giusto, tutti chiediamo scusa, ritorniamo al Signore, lasciamoci riconciliare con Lui, perché il suo amore, ovvero la sua grazia, quella che tutti confessiamo eterna e stabile per sempre, non si data a noi inutilmente. Approfittiamo finché dura, in altri termini, perché passerà, ci sarà un tempo in cui non ci saranno più ambasciatori di pace, ma un re conquistatore e vittorioso, e a quel punto non ci sarà più niente da fare.
Naturalmente questi significati non sono assenti nella penitenza e nel digiuno cristiani, ma vorrei sottolineare che, come la legge antica, della quale sono in effetti espressione rituale, nel caso di Israele, ovvero come la legge, direi in senso naturale o antropologico, della colpa e della punizione, sono superati o completati, riempiti, per così dire, in qualcosa che fa anche della penitenza cristiana e della nostra Quaresima un vino nuovo in otri nuovi, per riprendere un'immagine evangelica, o un vestito completamente nuovo, e non una pezza su di un vestito vecchio.
Le parole di Gesù ce lo fanno capire: avrete notato che ricorre nella pericope di oggi per ben tre volte la parola "ipocriti". Questa è una parola greca, semplicemente traslitterata in caratteri latini, ma non tradotta: se la traducessimo, sarebbe "commedianti". Cioè: Gesù ci dice che non dobbiamo fare commedie davanti al buon Dio, ovvero di recitare un copione o una parte davanti a Lui o davanti agli uomini, e del resto nemmeno davanti a se stessi, facendo finta di essere quel che non si è. Questo non significa solo, come parrebbe al primo acchitto, che la nostra fede deve essere sincera: è limitante pensare che il problema dei farisei sia stato quello di mostrarsi davanti agli altri, o di avere una condotta esterna alla quale non corrisponde un cuore integro. Del resto, sta di fatto che quando uno versava una somma nel tesoro del tempio, i sacerdoti dovevano proclamare ad alta voce che quel tale aveva fatto una grossa offerta: era un dovere giuridico-religioso farlo notare, proprio come noi del resto nelle Università facciamo le lapidi per ricordare i ricconi che l'hanno fondata o dotata di aiuti. In fondo, voleva essere qualcosa di edificante: guardate come sono bravi, pregate per loro, benedite i vostri benefattori.
Il problema è più radicale e nascosto: Gesù intende dire che non c'è nessuna offerta da fare o comportamento da tenere per guadagnarsi l'amore di Dio, perché quello ci è dato gratis, senza se e senza ma. In altri termini, nella Quaresima noi riconosciamo che Dio ci è venuto incontro nelle nostre strade storte, e che forse anche continueranno ad esserlo, poiché non siamo stati noi a cercare Dio, ma è Lui che ha cercato noi: e questo credo che sia il senso della radicale diversità del cristianesimo da altre tradizioni religiose, per quanto possano essere più austere e nobili. E così le nostre opere non sono il frutto della nostra fatica e la prova della nostra buona volontà, ma sono il segno della nostra gioia. Se sai che ti sono stati già condonati i debiti prima che tu lo chiedessi e meritassi, li condoni senza che l'altro se lo meriti e lo chieda, e proprio in senso economico prima che morale; se sai che sei figlio di Dio, e lo capisci davvero, non tratti gli altri come cose o schiavi, perché sono figli anche loro, e cioè fratelli tuoi, che non hai scelto ma che ti trovi accanto, come tutti i fratelli; se credi che Dio non è violenza, per quanto sacra, ma compassione, lo diventi tu stesso, senza se e senza ma anche tu come Lui. Un esempio: a dei genitori non costa niente rinunciare al boccone migliore del pranzo per darlo a chi amano, cioè ai loro figli, ed è per questo che noi non dovremmo avere un'aria malinconica quando digiuniamo, perché il nostro digiuno è proprio togliersi il boccone migliore per darlo a chi non lo ha. Infatti il prezzo del digiuno è l'elemosina ai poveri, solo che a noi pesa tantissimo! Sì che facciamo una marea di diete, perché il vero valore è la bellezza o la salute, ben più rigide di ogni digiuno monastico mai pensato neanche dai trappisti o dai frati minimi, ma in realtà nessun vero digiuno. E lo facciamo perché abbiamo conosciuto il dovere, e non l'amore: il che ci mostra quanto in effetti siamo lontani da Dio, e come il tempo della Quaresima sia per noi propizio.
E' contemplando la Passione che tocchiamo con mano tutto questo, perché chi vede Gesù vede il Padre. Una proposta: perché il giovedì sera, tutti i giovedì sera, memoria del Getsemani, non accogliamo le parole di Gesù, vegliando e pregando per un'ora accanto a Lui? Possiamo, in casa e non solo necessariamente in chiesa, prendere un vangelo, un racconto della Passione, in tutto o in parte, poiché non è il molto sapere che sazia e riempie l'anima, ma il sentire e gustare intimamente, e restare lì, ascoltando, osservando, meditando quel che accade.
Immaginare la scena, contemplare che è Dio che si lascia così trattare, vedere in tutta la folla che è lì la nostra umanità, i tanti diversi tipi di persone, e in ultima analisi me stesso: sono io Pilato, sono io Pietro, sono io Giuda, sono io chi lo schiaffeggia, sono io che lo insulto e gli sputo. E Lui si lascia così trattare: da me. E' stato trattato da peccato in mio favore: ha preso Lui quel che spetterebbe a me. Vogliamo così onorare il Cuore di Cristo, proprio per tutte le volte che non l'abbiamo voluto fare, e in nome e al posto di altri: nel segreto, come Lui ci chiede di pregare. E vedremo che cos'è la bontà di Dio, e gusteremo e vedremo quello di cui troppo spesso ci siamo privati, correndo dietro a tante illusioni. Se farete questo anche una sola volta, vi prometto che la vostra vita cambierà.