Omelia (10-02-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Il trinomio prezioso

Gioele (Prima lettura) descrive la penuria e la fame in cui versa il popolo di'Israele in seguito a un'invasione di cavallette che ha distrutto il raccolto, ma facendosi portavoce di Dio invita tutti alla conversione e al pentimento: è stato il peccato del popolo a causare codesta disfatta. Ora occorre dare segno di pentimento e di conversione, soprattutto con la penitenza, la mortificazione e il digiuno. Il mondo cambia a partire dalla coscienza del singolo uomo e nessun vantaggio e mai possibile se non lo precede lo sforzo di rinnovamento e di radicale trasformazione interiore. L'imperfezione è il primo ostacolo d'abbattere per ritrovare se stessi e la precarietà e la miseria morale sono pericoli da combattere nella persona singola e nella società. Così sempre, e non soltanto nel popolo d'Israele oppresso dalla penuria e dalla carestia. Un coefficiente valido per optare per il rinnovamento è il digiuno. Esso era considerato nell'Antico Testamento un mezzo per umiliarsi davanti a Dio e per entrare nel vivo della comunione con lui; con il digiuno si fa esperienza del divino e si incrementa la familiarità con l'Assoluto. Rinunciare al cibo o ridurlo alla frugalità è un espediente che favorisce l'alleggerimento, lo svuotamento di se stessi per accrescere quell'umiltà che ci conduce a Dio e che ci predispone ad amare il prossimo. Per questo il digiuno è associato alla preghiera e alle opere di carità, senza le quali esso non avrebbe alcun valore se non di mera esteriorità innecessaria. La carità è reale ed effettiva quando deriva dall'umiltà e dalla fede e quando è anzi una conseguenza di queste. Se allora il digiuno non serve ad accrescere il nostro essere umili e devoti, non sarà mai vero digiuno e non condurrà mai alla carità concreta. Preghiera e digiuno in altri termini ci portano all'umiltà e questa conduce alla carità.
Ed è proprio questa la sintesi del Mercoledi delle Ceneri, che vede affollate le nostre chiese solitamente semideserte nei giorni feriali dell'inverno, perché ciascuno riceva sul capo un granello di polvere. Essa ci indica innanzitutto il valore dell'umiltà, la necessità di dover ammettere la nostra insufficienza e la nostra precarietà, riconoscendo di dover dipendere da Qualcuno che ci sovrasta ma che ci ama. L'umiltà per la quale consideriamo noi stessi nient'altro che polvere e cenere e che è stata alimentata dall'astinenza dai pasti (o almeno da una pietanza) prevista nella giornata di oggi e che avrà la sua concretezza nel bene che saremo in grado di fare ai fratelli. L'umiltà ci spinge a cercare Dio considerato come bene supremo e a orientare la nostra vita a Lui in un continuo processo ininterrotto chiamato conversione. Se sei polvere e cenere e se Dio ti ama, ebbene convertiti e credi al Vangelo, è la frase che vi viene detta al momento in cui veniamo cosparsi delle sacre ceneri.
Il Vangelo di oggi, che inaugura liturgicamente l'inizio di un percorso di rinnovamento spirituale che interessa l'interiorità del singolo e l'intera comunità ecclesiale, ci parla della vera carità, scaturente dall'umiltà e dalla mortificazione che conducono alla fede: "Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà."
La metafora esprime che è necessaria l'umiltà e la fuga dalla vanagloria. Praticare la carità gonfi di presunzione e di vano orgoglio non fa altro che rendere ridicoli, poiché dimostra l'inutilità stessa delle nostre presunte opere di bene. Inutilità in tal modo palesata sia davanti a Dio sia davanti agli uomini, per il semplice fatto che non vi è difficoltà alcuna a fare il bene quando questo non ci costa nulla e non ottiene certo dei meriti il compiere delle buone azioni al solo scopo di ottenere il plauso e l'approvazione di chi ci sta osservando. In casi come questi si è capaci di buone azioni che sapremo fare solo in quella circostanza, ma che non saremo in grado di ripetere in futuro, con la conseguenza di sterile falsità e ipocrisia da parte nostra. Quando si esercita l'amore ravvivati da una profonda umiltà e da una vera disposizione di cuore, la nostra trasparenza sarà indubbia e la sincerità con cui si a il bene sarà di edificazione agli altri. La carità deriva infatti da uno sprone che può darci solamente un cuore puro e uno spirito ben disposto, riceve la spinta iniziale dall'umiltà e nella fede trova la sua continua forza di inerzia.
In queste settimane privilegiate che ci attendono saremo condotti all'esercizio dell'umiltà perché saremo spronati a guardare a Dio che da parte sua non cessa di chiamarci a conversione e ad instaurare una relazione di amore con noi nel suo Figlio Gesù Cristo. Corrisponderemo all'appello di Dio che ci invita alla comunione con sé radunandoci nel suo Figlio Gesù e rendendoci consapevoli di essere sempre amati e prediletti nonostante le deficienze di cui è causa il nostro peccato. L'umiltà consisterà nel riconoscerci effettivamente bisognosi di questa comunione con Cristo e di saperci insufficienti e privi di orientamento quando essa venga a mancare; essa è la risorsa privilegiata che ci pone sempre di fronte al nostro peccato, ravvivando in noi la coscienza di manchevolezza verso Dio che rovina peraltro noi stessi e la nostra convivenza. L'umiltà cancella l'orgoglio e la presunzione aprendo le porte al dono della fede, che in essa viene coltivato, approfondito e alimentato e la fede non potrà che condurre al "prestare attenzione" al fratello, concependo così la carità sincera, disinvolta e disinteressata.