Commento su Mt 25, 34-36; 40
«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi... E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me"».
Mt 25, 34-36; 40
Come vivere questa Parola?
Questo formidabile affresco del giudizio finale - che ci rimanda visivamente al celebre capolavoro pittorico della Cappella Sistina di Michelangelo - ha suscitato lungo la storia e suscita ancora oggi un grande fascino, anche nel lettore moderno, reso sospettoso dalla cultura secolarizzata del nostro tempo. La concretezza e radicalità delle esigenze etiche in base alle quali si decidono il destino e la verità ultima dell'uomo, sono presentate in questo quadro evangelico con un linguaggio così semplice, chiaro ed immediato, che vengono a cadere tutte le prevenzioni e le riserve ideologiche. Alla fine, ogni uomo sarà giudicato per la salvezza o la rovina definitive, sulla base dei gesti concreti di solidarietà attiva negli incontri feriali con gli altri esseri umani bisognosi. Questo è il messaggio fondamentale che risulta incontestabilmente dal Vangelo di Matteo.
Inoltre Gesù in persona sottolinea, alla fine del testo, il valore teologico interno del contenuto con una solenne affermazione, che ha tutta l'aria caratteristica di un assioma incontrovertibile: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Madre Teresa è rimasta folgorata da questo testo evangelico e ne ha fatto il programma di tutta la sua vita. Lei affermava che queste cinque parole erano le più importanti del Vangelo: «Lo avete fatto a me» (You did it to me).
In tal modo, il criterio decisivo della salvezza o della rovina per tutti gli uomini non è semplicemente la prassi di amore verso "i più piccoli e bisognosi", ma la sua valenza Cristologica, cioè la sua identificazione con loro. In altre parole, la solidarietà del giudice escatologico con "i più piccoli", non dipende dalle qualità morali degli indigenti e neppure dalle intenzioni soggettive di chi li accoglie o rifiuta. Essa è un dato obiettivo che carica di significato e valore decisivi per la salvezza o la rovina ogni gesto di accoglienza o rifiuto dell'uomo bisognoso. Questa interpretazione del "servire" porta anche a un'altra scoperta importante: l'unità di vita. Infatti, i molteplici gesti di amore sono qui ricondotti a un'unità, a un centro interiore, a cui ritornare e da coltivare, per dilatarsi ancora in molte opere di amore, senza esaurirsi, ma anche, soprattutto, senza disperdersi nel puro attivismo esteriore.
La voce di Papa Francesco
«Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25, 31-45)».
Misericodiae vultus, Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, num. 15.
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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