Omelia (06-03-2016)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su Gs 5,9-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

Questa quarta domenica di quaresima è conosciuta anche come la domenica della gioia (in laetare), la gioia di Dio, la sua tenerezza e la sua misericordia per la vita dell'uomo, la sua salvezza. Infatti l'antifona d'inizio ci introduce proprio in questo tema "Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione" (cf. Is 66,10-11).

Per questo la liturgia prevede, a livello facoltativo, di usare i paramenti rosa nella celebrazione della messa.

Nelle letture che la liturgia oggi ci propone troviamo il popolo di Israele che finalmente arriva nella terra promessa (1^ lettura); "Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato (Sal 33); san Paolo che ci annuncia che in Cristo "le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove". Ma soprattutto è il vangelo, con la parabola del padre misericordioso, a darci la chiave di lettura di una gioia vera, basata sulla misericordia, che papa Francesco ha lanciato come tema di riflessione in questo anno giubilare. Nella lettera di indizione Misericordiae Vultus viene citato questo racconto al n. 9: "Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono".

La prima lettura, tratta dal libro di Giosuè, racconta la fine del pellegrinare del popolo di Israele; per loro iniziava il soggiorno nella terra promessa. L'esperienza dell'inizio di una vita nuova è accompagnata dalla celebrazione della Pasqua nella condizione di uomini liberi: una bellissima esperienza umana, sociale e religiosa. "La manna cessò il giorno dopo": la manna appartiene al passato, da ora in poi si mangeranno cose nuove.

Anche san Paolo, nella lettera ai Corinzi, ci dice che in Cristo "Inizia una nuova vita". Paolo può esclamare la sua gioia proprio perché, personalmente, ha fatto questa esperienza: da persecutore della Chiesa è stato perdonato e rigenerato a vita nuova.

Nel brano di vangelo Luca ci offre il lieto annuncio della misericordia di Dio, che mette in crisi i benpensanti del tempo, che rifiutavano l'atteggiamento di Gesù verso i peccatori. La chiave di lettura del brano non è il "figliol prodigo"; egli non è il personaggio principale, ma una figura provocatoria che fa emergere le qualità profonde del padre, il vero protagonista, e l'atteggiamento del fratello maggiore, che pensa di essere "buono e osservante", mentre è solo un uomo arido. Questo fratello è l'immagine della povertà religiosa dei farisei, ai quali la parabola è rivolta: uomini devoti, sicuri di sé, dei loro schemi religiosi e delle loro classificazioni morali, ma che non sanno cogliere, anche in chi sbaglia, il bisogno ancora inespresso di verità e di bontà con cui costruire rapporti nuovi di fiducia e di amore.

Nel gesto del figlio c'è non solo un gesto di ribellione. C'è anche l'ansia di crescere comune a ogni uomo, sia pure tra gravi malintesi. Il peccato non è nel distacco dal padre (in qualche modo necessario, inevitabile), è piuttosto nella superficialità del figlio, nella mancanza di motivazioni profonde, è nelle scelte successive, nell'incapacità di orientare la sua vita in senso sociale, in una apertura verso gli altri. La sua vicenda rimane pura evasione; in altre parole, il giovane adolescente non cresce, resta "figlio di papà", legato alla casa del padre, non per amore, ma per i vantaggi che essa offre ("I salariati di mio padre... e io qui muoio di fame"). Il suo ritorno è equivoco e interessato: è un ritorno senza maturazione.

È il padre che salva il figlio, non con un facile perdono, ma con tutto il suo atteggiamento. Prima c'è il silenzio del padre che sembra il gesto di un debole: perché non ha reagito? Perché non lo ha trattenuto? Il vangelo non ci dà argomenti per difendere un autoritarismo (o paternalismo) che soffoca la crescita dell'altro. Ma il padre non entra in angoscia quando il figlio non risponde alle sue attese, non sente ingiusta la sua richiesta, non ricorre a misure repressive quando gli chiede di fare la sua esperienza, non si abbandona a gesti isterici quando esige la sua parte di eredità.

Soffre molto (come si soffre la morte di un figlio: "Era morto", dirà), ma rispetta la libertà dei figli, e attende con pazienza, in silenzio, la loro maturazione.

La grandezza del padre è legata all'interesse solo per il figlio, che permetterà l'incontro definitivo. Muore una paternità che soffoca, che pretende di "avere esperienza", di "sapere come vanno le cose", che vuol dare sicurezza, certezze (le sue certezze!). Cioè viene meno la pretesa di imporre "la propria ricchezza": tra padre e figlio ora c'è solo l'amore.

La gelosia per i beni falsa anche il rapporto del fratello rimasto in casa con il padre e lo trasforma in un rapporto mercenario: "Io ti servo da anni e non mi hai dato mai un capretto per fare festa con gli amici". Non ha capito che il padre non faceva questione di beni, ma di amore: "Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo".

È l'eterno problema dei rapporti umani a tutti i livelli: ognuno è disposto a dare tutto se stesso, la propria esperienza, i propri averi, dentro un progetto proprio, ma nessuno (o quasi) è disposto a rispettare l'altro (soprattutto un figlio), quando vuole fare scelte non condivise. Raramente si è disposti ad accettare una crescita autonoma. Sappiamo tutti che i figli commettono tanti errori: il problema è di capire se li aiuta di più la pazienza, l'amore, l'atteggiamento maturo del padre della parabola, o un intervento nevrotico e autoritario.

Il racconto evangelico diventa esperienza quotidiana. Le crisi non si risolvono con facili moralismi o altrettanto facili interventi autoritari. Deve morire la cultura del benessere individualistico ed esagerato, che genera attese immature e irresponsabili, per far posto alla cultura alternativa della libertà dai beni e dalle rigidezze ideologiche, che è la base di una cultura del rispetto e dell'amore. Un rapporto veramente umano deve nascere dall'incontro tra uomini interiormente liberi e adulti.

Per riconoscere l'amore del padre occorre riconoscersi figli, cioè riconoscere gli altri come propri fratelli. Lasciarsi riconciliare è lasciarsi amare, togliendo gli ostacoli della diffidenza e della sfiducia. Se un incontro è possibile tra i due "ritorni" lo si deve alla misericordia del padre che nella sua grandezza supera le previsioni, i preconcetti ed i limiti dei due "ritornanti".


Per la riflessione di coppia e di famiglia.

- A partire dal messaggio globale delle letture di questa domenica, in particolare con riferimento alla parabola del Padre Misericordioso (figliol prodigo, secondo fratello e padre), qual è il nostro stile di vita e il nostro rapporto con Dio in famiglia, nella società?

- Teniamo conto che l'itinerario quaresimale è anche un itinerario battesimale, cioè rinascere a vita nuova per nutrirci di cose nuove: parola di Dio, sacramenti, come ci ricorda san Paolo? Come colleghiamo questi fatti al nostro battesimo?


Don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino