Omelia (20-03-2016) |
don Luca Garbinetto |
Tra desiderio e necessità La Pasqua di Gesù comincia da un intimo desiderio di amicizia e di condivisione. Gesù desidera mangiare con i suoi, prima di affrontare il dramma della Croce. La scelta di avviarsi su per la salita di Gerusalemme, con passo deciso e risoluto, nonostante la consapevolezza di quanto lo attende, sgorga in Gesù da un animo che coltiva il desiderio. Gesù, uomo perfetto, non si lascia dominare dagli eventi, non accompagna passivamente la storia, non subisce le inevitabili conseguenze dei fatti: ma li abita, li riempie di presenza, li orienta secondo un orientamento voluto e cercato. Ed è la spinta del desiderio a sostenere il suo camminare, coltivato con passione e secondo un preciso senso di marcia. Gesù, vero uomo come noi, alimenta il proprio desiderio di donazione, di servizio, di consegna totale. Ne parla ai suoi negli attimi cruciali dell'ultima cena, perché di questo ha colmato tutta la sua esistenza. Si giunge ai momenti ultimi dell'esistenza portando con sé ciò che di ultimo si è cercato per tutta l'esistenza. Alla fine dei giorni si porta quello che ha riempito i nostri giorni. ‘Deve compiersi in me questa Parola della Scrittura' (22,37). Accanto al desiderio, dimensione estremamente personale, se non a volte soggettiva, Gesù ha consapevolezza che esiste una necessità, un dovere, forse anche una ineluttabilità della storia. Esiste, nel mondo, qualcosa che ‘deve' essere così, e non può essere altrimenti. C'è un elemento che ‘bisogna' accogliere come tale, pena il rifiuto della storia stessa e lo smarrimento nel pellegrinaggio della vita. Anzi, pena la negazione di se stessi e della propria umanità. Che cos'è questo dato? È uno spazio di limite e di condizionamento tale da non poterne sfuggire. Gesù assume in sé tutto questo. Si entra così nella tensione pesantissima tra il desiderare personale e la necessità di accogliere qualcosa che non dipende da sé. La vita vera, in fondo, è fatta di questo. E forse sta lì il vero senso della Passione: non solo l'ineluttabilità della morte, ma lo scontro tra il limite e la restrizione che essa comporta e quell'infinita aspirazione di vivere per sempre, di onnipotenza e onnipresenza che dimora nella profondità del cuore. ‘Desidero'... ma ‘devo'... Non sempre conciliabili, non sempre armoniosamente orientati allo stesso fine. Almeno in apparenza. L'uomo si ritrova così lacerato, e tende a rifiutare la lacerazione e lo scarto. Si sente meno uomo, se non può affermare la propria indiscussa autonomia. Si ritrova meno uomo, se non riesce ad assumere ogni dimensione dell'esistente, anche quando questo gli sfugge nella sua verità. Perché l'uomo è dato a se stesso, non c'è nulla da fare! Ma allo stesso tempo custodisce un appello di autorealizzazione che non può sradicare da sé! E allora patisce, soffre, urla, suda sangue! Forse è proprio questa la necessità: bisogna che tu, o uomo, o Figlio, ascolti e assecondi il desiderio immenso di diventare uomo davvero! Dove sta la chiave? Quale la risposta? Cosa attutisce o ‘porta a compimento' la ricerca? ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà' (22,42). Ecco la via: donarsi totalmente all'unico che è Tutto. Senza ridimensionare il desiderio, ma trasformandolo in relazione. Senza evadere alla necessità, ma riconoscendola come volontà di un Altro. Non è il fato, né la casualità a portare il Figlio sulla croce: è la scelta consapevole di assecondare il desiderio di essere tutto del Padre. Che la Sua volontà diventi la mia! Che nell'essere in due diventiamo uno! Così la via che si svela è percorribile anche da noi. Si tratta di far divenire nostro desiderio ciò che il Padre vuole. Così il dolore e l'offerta intessono nuovi ricami che ricuciono gli strappi del cuore: non siamo più affannati a rivendicare indipendenza per sfuggire all'inevitabile morte, ma ci troviamo abbandonati con fede alla cura amorevole di Colui che rimane accanto e dentro il nostro quotidiano sacrificio. La Sua presenza, umanissima e divina, consola e asciuga le nostre lacrime, che pur tuttavia continueranno a cadere. Perché, per chi desidera vivere, è necessario piangere. |