Omelia (24-03-2016) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sai che basta l'amore Entrare a Gerusalemme è stato per Gesù un atto paragonabile a un trionfo, visto che il suo passaggio per le vie del dentro veniva accompagnato dalle ovazioni della folla che si accalcava attorno a lui facendogli ressa e omaggiandolo con il lancio di palme e rami d'ulivo e dispiegando i mantelli man mano che egli procedeva. Simili acclamazioni di gioia e di tripudio venivano riservate ai generali dell'esercito che tornavano da una vittoria dopo una difficile battaglia contro un popolo nemico; oppure agli imperatori e ai monarchi. Gesù viene accolto come colui che trionfa mostrando un'apparente sconfitta, che si mostra forte e imperioso in quello che comunemente viene definito inaudita debolezza e passibilità e che mostra una sola arma per sconfiggere i propri avversari: quella dell'amore. Giovanni ci racconta che Gesù sta consumando una Cena con i suoi discepoli prima della festa della Pasqua ebraica (gli altri evangelisti la collocano nello stesso giorno della Pasqua) e che a un certo punto "avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine" (Gv 13, 1) e quale dimostrazione inoppugnabile di questo sentimento nei loro confronti si alza da tavola, depone le vesti e comincia a lavare i piedi a ciascuno dei suoi amici. Solitamente un tale atto veniva svolto dagli schiavi nei confronti dei loro padroni, quale mansione obbligatoria di obbedienza; Gesù lo realizza mentre rende edotti i suoi discepoli che il vero servizio consiste nella profondità dell'amore e che questa è sola condizione per cui esso può essere eloquente. Lavare i piedi è massima espressione dell'amore perché comporta qualcosa di straordinario ed eroico che riguarda non le speciali occasioni, ma la quotidianità. Ragion per cui può essere svolto benissimo, basta volerlo. Ma esso dev'essere messo in atto soprattutto da parte di chi viene considerato il più grande: chi occupa una posizione al di sopra degli altri è chiamato ad essere riverbero dell'amore e non può negarsi al servizio. L'amore è protagonista di questa Cena soprattutto perché al termine di essa Gesù consegna se stesso dando un preludio di quanto sta per avvenire sulla croce: prende del pane, rende grazie e lo distribuisce ai suoi commensali dicendo: "Prendete e mangiatene, questo è il mio Corpo che è dato in sacrificio per voi." Nel linguaggio orientale "Questo è il mio Corpo" equivale a "Questo sono io" e l'invito a mangiare di Gesù pane vivo disceso dal cielo non è solo metaforico, ma anche reale. Prende poi il calice del vino pronunciando "Questo è il mio sangue". Il Sangue che di lì a poco dovrà versare sul patibolo quando i chiodi della croce squarceranno le sue membra e grazie al quale tutti possono trovare salvezza nella remissione dei loro peccati. Il Sangue versato insomma per l'umanità senza riserve e dal quale tutti potremo trarre profitto anche nei secoli a venire, visto che il sacrificio dovrà essere ripresentato fin quando i secoli non si consumeranno: "Fate questo in memoria di me.". Sempre l'amore spontaneo e deliberato sospinge quindi Gesù non soltanto a dare la vita per noi, ma a fare in modo che i benefici del suo sacrificio sulla croce possano perpetuarsi e che noi possiamo contemplare il ripresentarsi dell'estremo atto d'amore sul Golgota ogni volta che ci riuniamo per la celebrazione della Santa Cena. Gli Ebrei celebrano festosamente la Pasqua del loro calendario di Nisan, il cui termine etimologicamente significa "passare oltre", commemorativo del fatto che l'angelo sterminatore che agiva nelle case di ogni egiziano passava oltre (non uccideva) imbattendosi nelle case degli Israeliti contrassegnate dal segno del sangue sugli stipiti. Gesù ci fa celebrare la sua Pasqua che è ugualmente sinonimo di "passaggio", nel significato di "procedere dalla morte alla vita". Nella risurrezione di Gesù si avrà il trionfo della vita sulla morte e questa sarà estinta anche per noi, ma per adesso si deve affrontare lo sgomento e la trepidazione di ciò che (forse) fa realmente ancor più paura della morte: la fustigazione e la crocifissione fra gli sputi e le ignominie. Come poi dirà San Francesco di Paola "a chi ama Dio tutto è possibile" e a chi ama l'uomo trasmettendo l'amore stesso di Dio tutto è possibile a farsi, soprattutto quando a farlo è il Dio fatto uomo. Gesù sta per compiere deliberatamente questo passo, ma a noi spetta accompagnarlo ed effettuare con lui il medesimo passaggio dalla morte alla vita. In che modo? Accogliendo il monito dell'amore concreto con il quale Gesù dona se stesso indefinitamente nello spezzare il pane e nel farsi nostro cibo, dopo essersi chinato a lavare i piedi dei suoi. Vi do un comandamento nuovo: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi"(Gv 15, 17), perché solo chi ama può vedere Dio(1Gv 4, 21). Una belisssima canzone di Herbert Pagani afferma la potenza dell'amore: Perché solo l'amore fa d'un porco un poeta fa d'un vecchio un atleta d'un barbone un signore. E l'amore sarà per noi due la ricchezza e la sola certezza l'unica verità" Donare se stesso incondizionatamente, noncurante della sua dignità e della tutela della propria incolumità fisica; concedersi all'ignominia e al disprezzo altrui senza reazioni di sorta, esporre se stesso al ludibrio e al vituperio come "maledetto perché pende dal legno"(Gal 3, 13) e intanto offrire se stesso quale nostro alimento, dandoci un saggio concreto di sottomissione e di servizio vicendevoli; questi sono i requisiti dell'amore concepito e dimostrato da Gesù. Esso è caratterizzato da un eroismo di cui è capace solo la divina onnipotenza. Gesù non è però solamente Dio; è vero Dio e vero Uomo e ci ha lasciato un esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2, 21) e immedesimarci ugualmente a lui nella dinamica dell'amore vicendevole, sopportando con pazienza le ingiustizie, il dolore e le umiliazioni. E infatti Gesù non può essere che Dio, dal momento che manifesta di saper amare come nessuno mai prima di lui. |