Omelia (03-04-2016)
Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Ap 1,9-11a. 12-13. 17-19

Collocazione del brano

Durante il tempo pasquale dell'anno C saremo accompagnati dall'Apocalisse, l'ultimo libro della Bibbia. La parola apocalisse significa rivelazione e il testo vuole essere appunto una rivelazione riguardante gli ultimi tempi, il momento tanto atteso del ritorno glorioso di Cristo. L'apocalisse è stata scritta attorno alla fine del I secolo per le comunità dell'Asia Minore (attuale Turchia), le quali soffrivano delle pesanti persecuzioni a causa dell'impero romano che aveva avviato un intensa opera di propaganda, diffondendo il culto dell'imperatore come se si trattasse di un Dio. I cristiani venivano colpiti da queste persecuzioni poiché non potevano tributare a un uomo l'adorazione che spettava solo al Crocifisso e al risorto.

L'autore dell'Apocalisse cerca di rafforzare la fede nei cristiani perseguitati, ricordando loro il fine ultimo a cui la storia è rivolta. Anche l'impero romano con tutta la sua gloria avrà fine davanti alla manifestazione di Cristo. I cristiani sono dunque chiamati a perseverare nella fede, in una condotta santa e onesta, nelle buone opere, nonostante le persecuzioni e le difficoltà.

I brani che leggeremo in questo tempo di Pasqua riguardano soprattutto le manifestazioni di Gesù, agnello immolato e risorto, che appare nella gloria del suo regno.


Lectio

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.

Giovanni evangelista è la voce narrante dell'Apocalisse. Egli inizia il testo dando alcune indicazioni su di sé. Scrive mentre si trova in esilio nell'isola di Patmos, che si trova presso Efeso. Si dichiara fratello e compagno dei cristiani a cui si rivolge in tre ambiti differenti.
Il primo è la tribolazione, le persecuzioni che tutti loro stanno soffrendo. Il secondo è il regno, perché sa di essere unito nel regno di Dio con i suoi fratelli in Cristo. Terzo: la perseveranza nell'attesa di Gesù, perché egli aspetta con costanza e fede il Signore che tornerà e porterà tutto a perfezione.


10Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11«Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».


Giovanni ha fatto un'esperienza straordinaria e ce la racconta. Il giorno del Signore è la domenica, ma il fatto che venga ricordato in modo così solenne ci suggerisce non una semplice indicazione di tempo, bensì un'importante intervento del Signore nella storia. Il giorno del Signore ci ricorda anche la Pasqua, il trionfo di Gesù sulla morte, e l'annuncio della Parusia, il ritorno glorioso di Cristo. Giovanni in questo giorno dunque viene rapito in estasi. Lo Spirito di Dio lo mette in contatto con un mondo soprannaturale. Anzitutto gli apre le orecchie. Egli sente una voce come di trombe. La tromba era lo strumento musicale più forte e nella sacra scrittura viene associato spesso alla manifestazione del divino.

La voce lo invita a prendere nota di quello che vede e di comunicarlo alle sette chiese dell'Asia minore (il testo salta i nomi delle chiese).


12Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d'oro

Giovanni deve voltarsi, cioè deve lasciare la terra per rivolgersi a Dio. I sette candelabri d'oro ci ricordano il candelabro a sette bracci che nel Tempio bruciava senza interruzione davanti a Dio (Es 25,31-40). Anche il profeta Zaccaria utilizzerà il simbolo del candelabro. Giovanni attinge a piene mani a questo profeta.


13e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro.

Il Figlio d'uomo è una denominazione che troviamo la prima volta in Dn 7,13-14 e che è stata utilizzata dall'apocalittica ebraica postbiblica per designare un essere misterioso, esecutore escatologico del disegno di Dio e titolare dell'autorità regale e giudiziaria. Gesù stesso ha utilizzato il termine per designare se stesso. Quindi questo personaggio misterioso è Cristo stesso che appare in tutta la sua gloria. La veste talare indica il sacerdozio, la cintura d'oro la regalità. Il nostro testo liturgico salta i versetti 14-16 in cui si dice che il personaggio ha i capelli bianchi (è eterno) ed è splendente come il sole, teneva in mano sette stelle e dalla bocca gli usciva come una spada acuminata (la Parola di Dio).


17Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo,

La reazione dell'essere umano davanti al divino è sempre di paura. Giovanni cade come morto. Ma il Signore lo esorta a non temere e lo richiama alla vita. Giovanni non deve avere paura di Gesù Cristo perché egli è il primo e l'ultimo, Colui in cui tutta la terra e la storia è ricapitolata.


18e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi.

Egli è il Vivente, cioè vive per sempre. Non solo, ha anche potere sulla morte e sull'Ade, cioè il soggiorno dei morti. Queste prerogative gli sono state date perché si è sottoposto alla morte di croce e con la sua morte ha vinto la morte.


19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».

Giovanni riceve dunque un mandato importante. Ha già visto qualcosa, vedrà altre cose riguardanti il presente e il futuro, egli deve scrivere tutto e comunicarlo ai suoi fratelli nella fede.


Meditatio

- Mi è mai capitato di soffrire persecuzione per qualcosa in cui credevo fermamente? Cosa mi ha aiutato ad andare avanti?

- Cosa significa per me sapere che Cristo è il vivente e ha le chiavi della morte e degli inferi?

- Mi è mai capitato di vedere il Signore che operava qualcosa di straordinario nella mia vita o in quella degli altri?