Commento su 2Tm 1, 6-9
«Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia».
2Tm 1, 6-9
Come vivere questa Parola?
Oggi, giorno in cui si celebra la memoria di S. Giustino filosofo e martire, la lectio continua del Tempo Ordinario ci presenta nella prima lettura un brano molto bello della seconda Lettera di Paolo a Timoteo. Nei primi versetti di questa lettera colma dell'affetto dell'Apostolo verso il suo discepolo, Paolo si sforza di incoraggiare Timoteo, che era portato per temperamento a uno "spirito di timidezza", ed era quindi piuttosto intimorito di fronte alle persecuzioni del suo tempo.
Il primo e fondamentale motivo di coraggio, secondo Paolo, Timoteo lo deve trovare nel suo intimo, cioè nella ‘grazia' (charisma) della sua Ordinazione presbiterale ricevuta «mediante l'imposizione delle mie mani». In tale rito sacramentale, la «potenza di Dio» lo ha corroborato nell'amore disinteressato e audace verso i fratelli. In virtù di questo «rafforzamento» interiore Timoteo non «si vergognerà» più di dare la propria testimonianza a Cristo e neppure proverà vergogna della prigionia di Paolo, ma si sentirà pronto «a soffrire insieme» con l'Apostolo e gli altri confessori della fede.
Tale disposizione interiore è alimentata costantemente dalla «grazia» o «carisma» sacramentale, che però non è qualcosa di magico che opera automaticamente e indipendentemente dalla libera adesione personale, tanto che si può anche spegnere, come un fuoco che non viene alimentato. Pertanto l'Apostolo esorta Timoteo con una immagine assai suggestiva, a «rattizzare il carisma di Dio», cioè a ravvivare il fuoco della grazia. Il termine greco usato dall'Apostolo nel testo originale (anazopyrein) è un verbo che appare nel Nuovo Testamento solo in Paolo, in questo passo (hapax). È l'azione propria di chi soffia nel fuoco per asportare la cenere che minaccia di soffocare il fuoco e di spegnerlo. "La grazia di Dio è come un fuoco il quale, quando è coperto dalla cenere, non dà luce" (S. Tommaso).
O Signore, soffia sul fuoco della tua Grazia nel mio cuore e porta via la cenere, perché esso non abbia a spegnersi mai!
La voce del Santo filosofo e martire di oggi
«Tu prega innanzitutto che le porte della luce ti siano aperte, poiché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire».
Giustino, Dialogo con Trifone 7, 3
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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