Omelia (15-08-2016) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Luca 1,39-56 Ci siamo lasciati ieri con la amara constatazione che, per la sua fede così radicale e senza compromessi, Gesù perdette tutto: reputazione, gli affetti più cari, e infine anche la vita. La solitudine e il rifiuto da parte del mondo è il destino del Messia: venuto tra noi per riannodare i rapporti con Dio, il figlio del falegname, vero Dio e vero uomo, visse tuttavia una umanità talmente diversa e distante dalla nostra, che non lo abbiamo riconosciuto come uno di noi, lo abbiamo ripudiato e infine ucciso. Se, agli inizi della creazione, erano stati il primo uomo e la prima donna ad abbandonare la scena dell'Eden, a motivo del loro peccato, quando venne la pienezza del tempo (cfr. Gal 4,4), fu Dio ad essere estromesso dalla scena del mondo...a motivo della Sua santità. In altre parole, tra noi e Dio non c'è alcuna affinità; vorremmo stabilire un contatto, vorremmo fare pace, ma poi, quando si tratta di passare ai fatti, dal pio desiderio alla realtà, non siamo capaci di una comunione vera e duratura. Il nostro pio desiderio di bene era piuttosto una velleità. Questo è il motivo per il quale la situazione non sembra cambiata granché, rispetto a prima, prima che il Verbo si incarnasse nel grembo verginale di Maria santissima. In verità, qualcosa è cambiato, uno dei due termini della relazione: è cambiato Dio. Era inevitabile: se noi non siamo stati in grado di prendere l'iniziativa e cambiare atteggiamento nei confronti di Dio e del prossimo, affinché qualcosa cambiasse, non poteva che cominciare Lui. Ma se comincia Lui, se cambia Dio, cambia tutto, cambia la qualità del rapporto; si aprono delle possibilità, nuove opportunità anche per noi. C'è un particolare che non dovremmo trascurare: il Vangelo di Cristo ha duemila anni! Voglio dire che sono già trascorsi venti secoli da quando Dio ha deciso di cambiare e di comunicarci le conseguenze di questo cambiamento sostanziale. Il termine VANGELO significa buona novella, novità bella, un altro modo di chiamare il cambiamento. Ricordo anche che la sostanza del cambiamento, la sostanza della novità evangelica è l'Incarnazione: il Verbo incarnato assume la natura umana e la aggiunge alla propria natura divina. Non è la prima volta che ne parlo; ormai lo sapete, ci tengo particolarmente a dirlo, e lo ripeto in ogni occasione opportuna e inopportuna. Assumere la natura umana, per il Verbo, non significa soltanto fare qualcosa di sé e per sé; per noi che siamo gli interlocutori (di Dio) l'Incarnazione ha significato, significa conoscere finalmente la controparte, poter chiamare Dio per nome, sapere che conosce la nostra lingua e la parla correntemente, sente come noi, vive come noi, ama come noi, soffre come noi,... E qui entra in gioco Maria; questa ragazza palestinese, questa figlia di Israele visse in anticipo alcuni aspetti sostanziali della vita del figlio: l'investitura dello Spirito Santo; il ripudio iniziale del suo promesso sposo; il rifiuto da parte della società, la notte che diede alla luce il figlio; la perdita di se stessa, in un dono di obbedienza e di resa totale al Padre. Fu lei, Maria, ad insegnare a Gesù i primi passi verso la consacrazione che lo portò in età adulta a rinnegare se stesso fino a quel tragico venerdì santo. Se, durante la sua vicenda terrena, Maria precedette il Figlio, per potergli insegnare come si china il capo dinanzi alla maestà di Dio, dopo la risurrezione, Cristo le restituì per così dire il favore, volendola al suo fianco, primizia dei risorti, a vivere gli stessi doni di grazia che il Padre aveva concesso al Figlio unigenito. Il mistero dell'assunzione al Cielo che oggi celebriamo, manifesta la volontà di Dio di innalzare e celebrare la dignità di Maria al disopra degli angeli e dei Santi. La Madre di Dio non poteva conoscere la corruzione della morte, così come non l'aveva conosciuta il Figlio prima di lei. Maria è incoronata regina, accanto al Figlio, Re dell'universo. Questa è la relazione riuscita tra l'umano e il divino: conformità perfetta, affiatamento senza sbavature: ATTENZIONE: la perfezione di una relazione, non consiste nel non discutere mai, nel vedere tutto e sempre dallo stesso punto di vista. Gesù e Maria hanno vissuto, anche loro, momenti di tensione, di dissenso, di incomprensione... Questo è del tutto normale in un rapporto tra madre e figlio: lo è per noi, e lo è stato anche per loro. Questo, Maria lo sapeva; e quando, in occasione delle Nozze di Cana, Gesù la apostrofò nel modo che sappiamo, la madre non si sentì mortificata, né si perse d'animo: ordinò ai servi di fare tutto ciò che il Figlio avrebbe ordinato loro, e salvò la festa, semplicemente mantenendo aperti i suoi sensi di madre... Una buona madre non ha bisogno di fare troppe domande... una buona madre intuisce le situazioni prima degli altri... Ancora oggi, noi veneriamo e invochiamo Maria madre di misericordia, nella speranza, nella convinzione che mantenga sempre vigili e attenti i suoi sensi di mamma, come a Cana, e continui a intercedere per noi presso il Figlio. A proposito, gli amanti del buon vino possono stare tranquilli, in Paradiso non corriamo il rischio che manchi il nettare degli dei: e alla festa siamo tutti invitati, siamo tutti sposi e spose... Gesù è ancora e sempre colui che provvede il vino, in quantità esagerata e di qualità eccellente... Il suo sangue versato fino all'ultima goccia basta e basterà per tutti! |