Omelia (06-10-2016)
Monaci Benedettini Silvestrini
La perseveranza nella preghiera

Se la preghiera è essenzialmente comunione di amore con Dio, non possiamo mai e poi mai desistere dal praticarla, resteremmo privi di ciò che è essenziale per il nostro esistere e vivere. Alcuni si interrogano come mai dobbiamo reiterare le nostre richieste al Signore, se lui tutto vede e tutto conosce. La risposta è ìnsita nella nostra natura umana, corrotta dal peccato: dobbiamo colmare con la preghiera la distanza che noi, colpevolmente, abbiamo stabilito dal nostro Padre celeste, lasciando la casa paterna per vagare nell'illusione della libertà, sperperando tutti i nostri beni più preziosi. Nel dialogo possiamo stabilire la comunione, nell'umiltà della preghiera, possiamo manifestare a Lui le nostre debolezze e implorare la su forza. Non possiamo dimenticare poi la nostra fragilità e il bisogno estremo di conoscere la volontà di Dio, il suo piano di salvezza per tutti noi. Noi, istintivamente aneliamo al bene, ma non siamo più capaci né di conoscerlo, né di amarlo, né di praticarlo. Bisogna allora chiedere, cercare, bussare affinché il nostro cuore si riapra a Dio e il suo al nostro. Così rinasce l'amore, così riscopriamo il vero bene, così, pregando senza stancarci mai, impariamo l'arte sublime della preghiera. L'approdo a cui la preghiera ci conduce è la certezza di essere amati e di essere capaci di amare come Dio vuole. Scopriamo di essere suoi figli, di essere fratelli, di dover seguire le sue vie, di essere finalmente capaci di comprendere i valori della vita presente e quelli della vita futura. Rientriamo in sintonia con il nostro Padre celeste, con i nostri simili, con noi stessi. Impariamo a vivere dei beni semplici ed umili della vita, senza lasciarci soffocare dagli affanni e dalle eccessive preoccupazioni. Impariamo ad elevarci varcando senza fatica la soglia del tempo. Diventiamo cittadini del cielo ed eredi dei beni di Dio. È la più grande conquista che possiamo realizzare con la nostra fugace esistenza.