Commento su Gb 19,1; 23-27
«Rispondendo Giobbe prese a dire: "Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre sì incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Gb 19,1; 23-27
Come vivere questa Parola?
La gioia della festa di Tutti i Santi celebrata ieri, continua ancora oggi, anche se in tono più sommesso, nella commemorazione odierna di Tutti i Defunti. Oggi, per i credenti, non è un giorno di tristezza, ma di fede e di speranza nella Risurrezione di Cristo, che fa ancora da sfondo alla liturgia dei Morti, come il colore bianco della festa di Tutti i Santi.
La nostra Madre Chiesa ricorda oggi tutti i suoi figli che hanno varcato la soglia dell'eternità. In questi giorni le chiese e i cimiteri sono mèta d'un continuo pellegrinaggio di fedeli. La ricorrenza dei Defunti, ogni anno sollecita a compiere un gesto di pietà, di preghiera e di affetto verso i Morti e coinvolge anche chi normalmente è distratto da altri pensieri.
Ora ti invito ad ascoltare con commozione il grido di speranza sgorgato dal cuore di Giobbe nella prima lettura e riportato più sopra: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Giobbe, colpito da una serie insopportabile di disgrazie e di sofferenze, non accetta le spiegazioni degli amici e non abbandona la sua fede nell'esistenza di Dio. La sua grandezza sta proprio in questo: vive una forte tensione tra il dolore e la fede in Dio, accetta la sofferenza e non abbandona la fede. Egli non può accettare un Dio crudele e ingiusto, lontano. E proprio da questo suo attaccamento a Dio nonostante tutto, sgorga quel grido commovente dal suo cuore, che dalla tradizione è stato visto come una delle più antiche testimonianze sulla sopravvivenza personale al di là del disfacimento corporeo della morte.
La voce della Liturgia
«In Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell'immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo»
dal Prefazio proprio dei Defunti
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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