Omelia (02-11-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Proiettati verso la gloria

Si parlava ieri di coloro che vivono la pienezza del paradiso, che hanno meritato dopo un costante esercizio terreno di virtù e di perfezione nella conformità a Cristo, i cosiddetti Santi. Oggi ci si sofferma invece su tutti gli altri defunti che non hanno ancora raggiunto la gloria piena paradisiaca, ma che vi sono tuttavia orientati e che si avvalgono del nostro sostegno orante e dei nostri suffragi. Si tratta di coloro che stanno vivendo la dimensione della "purificazione", meglio conosciuta come "purgatorio". Il teologo Kehl rifiuta di interpretare questa condizione come una sorta di "inferno temporaneo" o come luogo di sospensione fra paradiso e inferno, quasi come se il defunto si trovasse sospeso in abisso vuoto dal quale vede ambedue le realtà da molto lontano: il purgatorio dev'essere visto piuttosto come un "atrio del paradiso", nel quale i nostri defunti possono già essere considerati salvi, perché già avviati verso la gloria definitiva. Essi tuttavia sono invitati a percorrere un itinerario di purificazione già cominciato nella vita terrena, che consenta loro di essere mondi, liberi e purificati da ogni imperfezione e guadagnare così il paradiso in pienezza. Certamente Dio, Padre di infinita misericordia può accordare il perdono a tutti gli uomini senza necessità di ulteriore purificazione, ma la cooperazione umana alla volontà con cui Dio vuole rinnovarci fino in fondo è necessaria: è insomma necessario che l'uomo dal suo canto venga messo in condizioni di accogliere e meritare in pienezza il perdono e la riconciliazione. Qualsiasi perdono ottenuto dal Signore nel sacramento della Riconciliazione è certamente efficace e rende liberi e risollevati, rigenera a nuova vita e ottiene la riconciliazione con Dio, tuttavia esso lascia sempre una qualche conseguenza di lacuna o di imperfezione che va purificata. Seppure la misericordia di Dio è infinita e incalcolabile, il perdono dei peccati non dev'essere inteso come una realtà ottenibile a qualsiasi condizione e in modo assolutamente gratuito, quasi come se da parte dell'uomo non debbano esservi debiti di riconoscenza o obblighi da soddisfare. Va da sé che occorre una condizione ulteriore di liberazione da qualsiasi pecchia o rimasuglio di peccato e di imperfezione sia prima che dono la morte. Di conseguenza tutti coloro che si trovino in stato di grazia ma ancora non del tutto purificati, sono destinati a questa speciale dimensione di purificazione ultraterrena che Dio ha disposto e che sottolinea ancora una volta in modo speciale la grandezza dell'amore e della misericordia divina. Che esista un purgatorio è infatti indice di amore di Dio, la cui pazienza e benevolenza verso l'uomo si protrae anche oltre la vita terrena e che rende possibile fino all'ultimo che l'uomo si renda meritorio della gloria definitiva. Come del resto si evinceva in apertura, il purgatorio non va considerato una sorta di privazione o di pena paragonabile all'inferno (seppure una certa tradizione abbia rilevato che le anime purganti soffrano come le anime dannate), ma una sorta di predisposizione al paradiso, un'introduzione alla beatitudine effettiva alla quale certamente i nostri cari defunti giungeranno.
Pregare per i nostri defunti, specialmente durante la celebrazione eucaristica, è un uso invalso da tantissimi secoli nella chiesa che sottolinea come i cristiani siano sempre stati solerti a vivere una comunione intensa con i defunti, senza che questa si identificasse necessariamente con una sorta di magismo o di spiritismo. Nella preghiera infatti mentre si instaura un'intima relazione con Dio e ci si immedesima in un dialogo profondo che edifica e rasserena, si ha la possibilità di percepire la presenza certa di tutti coloro che il Signore in ogni caso sostiene e accompagna e dei quali non si è mai dimenticato, appunto le anime dei nostri cari defunti. Pregare il Signore per i nostri defunti, impetrare a lui la grazia della purificazione e la misericordia per loro, chiedergli che ci faccia avvertire la loro presenza e che essi non ci abbandonino, equivale a instaurare una relazione intima e familiare con i nostri stessi cari e vivere già nell'orazione stessa un rapporto di mutua comunione con loro. Vivere l'Eucarestia come partecipazione alle sofferenze di Cristo il cui sacrificio ci viene ripresentato all'atto della consacrazione, entrare in comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo applicando questo stesso sacrificio ai nostri cari defunti equivale a consentire loro che la predetta purificazione avvenga assai più speditamente. In altri termini, la consacrazione eucaristica, quando applicata con fede e devozione ai nostri defunti, ottiene per essi un aiuto non indifferente nell'ordine della penitenza del purgatorio e fa in modo che la salvezza venga raggiunta con più sollecitudine. Poche volte noi ci concentriamo sui benefici che apportiamo ai nostri defunti ogni qual volta che chiediamo in sacrestia per loro l'applicazione di una sola Messa. La preghiera per i nostri defunti e soprattutto l'applicazione del sacrificio eucaristico, a condizione che vengano coltivate nella profondità della fede e non dandola vinta al senso di smarrimento e di perdizione che nel dolore possono sempre prendere il sopravvento, realizzano la comunione con i nostri defunti e ci permettono di esperirne la presenza certa e misteriosa e consolante sia che essi abbiano già raggiunto la gloria indefinita sia che ad essa debbano ancora accedere. Anche la preghiera rivolta ai nostri stessi defunti affinché presentino a Dio le nostre necessità e le grazie di cui abbiamo bisogno costituiscono per noi il vantaggio della loro compagnia; così pure la visita al cimitero e la sosta davanti alle lapidi che racchiudono i loro sarcofagi può recare il suo frutto, purché non si traduca in mera consuetudine vacua e insignificante.
Dal culto dei nostri cari apprendiamo fondamentalmente alcune lezioni quanto al corso della nostra vita terrena, che ci vengono ribadite ogni volta proprio dalla venerazione dei nostri cari: 1) la certezza di essere tutti quanti provvisori e precari finché persistiamo nella vita presente e la consapevolezza che la vita terrena vada vissuta in pienezza lontano dalle frivolezze. L'importanza quindi di dover vivere appieno il nostro tempo nell'amore e nella carità vicendevole, nella reciproca solidarietà e nella comunione per approfittare al meglio gli uni della compagnia degli altri.; 2) la necessità di dover ricorrere alla fede in un Dio misericordioso che nel suo Figlio ha vinto la morte onde evitare che il dolore del trapasso o la prova stridente del lutto possa deprimerci: di fronte alla prospettiva del dolore per la morte di un congiunto solo la fede nel Risorto può darci consolazione nella certezza che anche i nostri cari vivono per sempre; 3) la speranza in una vita futura di gloria e di pace (il paradiso) alla quale tutti siamo destinati e la consapevolezza di dover guadagnare questa dimensione di gloria già nel corso della vita presente. Non rifletteremo mai abbastanza che "la nostra patria è nei cieli"(Fil 3, 20) e che siamo orientati a cercare le cose di lassù (Col 3, 1) senza lasciarci avvincere dalle banalità del presente. Ci attende infatti un destino di gloria e di vita eterna, un definitivo incontro con il Signore della vita che realizzerà tutte le nostre attese e le nostre speranze, per la qual cosa occorre vivere il presente orientati verso l'avvenire in Dio. Nella nuova patria incontreremo tutti i nostri cari defunti e non soltanto essi, poiché nel Risorto ci riconosceremo a vicenda anche laddove eravamo sconosciuti in questo mondo.
La sintonia con i nostri defunti, avvalorata dalla preghiera e dall'Eucarestia che spronano alla carità, ci rammenta queste tre certezze e ci aiuta a perseguire gli obiettivi che esse contengono, dandoci nell'oggi la caparra dei loro benefici.