Omelia (25-12-2016) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La notte trinitaria E' ancora Isaia a profetizzarci la nascita nella carne di un Dio Salvatore Universale, che raggiungerà la nostra storia nelle vestigia di un Bambino chiamato Principe della pace, Consigliere Ammirabile, Dio forte, nonché Padre per sempre. Il profeta fa cenno al passaggio dalle oscurità delle tenebre al loro progressivo diradarsi per l'intervento graduale della Luce. Questa dicotomia, già presente nella creazione quanto alla contrapposizione fra la luce e le tenebre, il giorno e la notte, viene qui riportata per contrapporre la realtà ostile e refrattaria dell'uomo disperso nelle tenebre dell'errore, alla nuova dimensione di pace e di salvezza apportata dalla Luce, che risolleva l'uomo dalla sua perdita. In questo persistere dell'oscurità e delle tenebre, nel suo vagare disorientato nel peccato e nella fallacia e nella perversione, il popolo, cioè l'umanità, ha visto la Luce. E ha trovato orientamento. Tutto questo è avvenuto in un Bambino, le cui caratteristiche sono quelle della divinità, così come le descrive il profeta medesimo. Certamente il passo è allusivo a una precisa situazione storica e prevede la nascita di un re terreno, ma il messaggio di Isaia si estende oltre e il suo annuncio non può non definirsi messianico, cioè allusivo alla nascita del vero Re che porta la pace in tutto il mondo: questo Bambino viene definito Re universale e Padre Eterno., e questo ci da' l'idea del vero Dio di cui ci parlerà più speditamente Gesù Cristo: il Dio Uno e Trino. Sia pure indirettamente, Isaia ci preannuncia il mistero di Dio Padre Eterno che per opera dello Spirito Santo si incarna nel suo Figlio. Gesù Figlio di Dio è infatti l'eternità che entra nel tempo, il Definitivo che assume il provvisorio, la Totalità che entra nella parte. Dio infinito, eterno e incorruttibile insomma si fa uomo e per di più Bambino. Questo avviene in una notte qualsiasi di un tempo di pace militare che sta interessando l'impero di Cesare Ottaviano, definito il Divino (Augusto). Secondo gli storici, siamo fra il 30 a. C. e il 14 d. C. Si è in tempi di censimento e Giuseppe, appartenente al casato di Davide e quindi di origine Betlemmita, adempie il suo dovere di cittadino esemplare: si mette in viaggio da Nazareth e raggiunge la cittadina sperduta della Giudea portando con sé la sua sposa Maria, malgrado l'imminenza del parto. Anche Maria, come si evince dall'episodio lucano messo in relazione con altri brani evangelici, accoglie con disinvolta apertura la prospettiva di questo viaggio difficile e combattuto e affronta con coraggio le difficoltà della gestazione improvvisa e concepisce, adagiandolo in una mangiatoia, il Figlio di Dio che in virtù dello Spirito Santo si fa' uomo secondo il progetto del Padre. Sempre lo Spirito divino aveva reso Maria gravida senza contatto umano predisponendola a questa maternità speciale, comunicandole che il Padre stava realizzando in lei l'opera di amore per l'umanità dell'incarnazione del suo Figlio. Questa quindi è la notte trinitaria prefigurata da Isaia, nella quale Dio Eterno si fa uomo rivelando interamente se stesso e inizia il suo percorso di vita condivisa in tutto e per tutto con noi. Dio in questo Bambino si avvicina all'uomo pur restando il Totalmente Altro, il Differente e nulla perdendo della sua divinità. Come Dio - Uomo Gesù inizia a percorrere gli spazi storici e ideali da noi abitualmente percorsi, a vivere anch'egli le nostre ansie, i nostri problemi, le aspettative dei giovani e i bilanci della memoria degli anziani. Già nella sua misera dimora improvvisata, questo Dio Bambino attira tutti a sé e tutti vengono coinvolti dal fascino del mistero di cui è depositario e annunciatore. Sono per primi i pastori a venire sedotti da questo misterioso fascino e avvinti di gioia e di contentezza: essi infatti comprendono che a dispetto della società che li rifiuta emarginandoli come soggetti impuri e abietti Dio Bambino predilige e ama proprio loro e in questo osservano la distanza incommensurabile fra la presa di posizione di Dio e quella propriamente nostra: ciò che l'uomo abitualmente deprezza e rifiuta, Dio lo accoglie con il massimo dell'amore e della predilezione. Perché è egli stesso un Dio Amore che, nonostante la sua somma gloria e onnipotenza, si sottopone al deprezzamento degli uomini, subisce sopraffazioni e vessazione e incontra già ancor prima di venire al mondo il cinismo degli albergatori che non danno alloggio alla sua povera madre terrena dolente. Povero fra i poveri, umiliato dai perfidi e dai potenti, il Dio Bambino Principe della pace apporta la sua pace ponendosi dalla parte innanzitutto dei poveri e degli sfiduciati. Ma estende la sua salvezza e la sua gioia a tutti quanti, a condizione che tutti ci sentiamo "poveri" e ci umiliamo davanti al suo mistero affascinante il cui nome è solo Amore. |