Omelia (25-12-2016)
don Luciano Cantini
Un bambino è nato per noi

Una luce rifulse

Fu un tempo di oscurità e tribolazione, i rumori della guerra si fanno forti, Gerusalemme rischia l'occupazione (cfr. Is 7,1-9), al Re Akaz che ormai aveva perso ogni speranza viene offerto in segno la nascita di un bambino: Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14)

Dio entra nella normalità della vita degli uomini con segni normali come la nascita di un bambino.
Probabilmente è lo stesso figlio di Isaia, che porterà il nome di Emmanuele per testimoniare con la sua esistenza che Dio non abbandona il suo popolo neppure nei momenti difficili della sua storia proprio quando agli uomini sembra di essere abbandonati.

Sono Zabulon e Neftali, le prime regioni a subire l'invasione Assira (cfr. 2 Re 15,29) e ad essere deportati: su coloro che abitavano in terra tenebrosa... la situazione è drammatica e senza via di uscita. Anche oggi siamo coinvolti in situazioni che a dire tragiche pare poco, la sicurezza è costantemente a repentaglio, le relazioni umane compromesse nella fiducia. Viviamo una situazione apparentemente di benessere eppure siamo minati nel profondo, non ci sentiamo difesi davanti alla violenza nascosta tra le pieghe della società, alla incertezza del lavoro, al terrorismo. Davanti al nostro "oggi" sembra mancare un futuro che abbia senso, allora lo si ricerca nel protezionismo, nel separatismo, eppure più stringiamo il pugno più la sabbia sfugge di mano e le scelte populiste alla fine non pagheranno.

Isaia rilancia il senso della gioia: una grande luce, la festa per il raccolto, la liberazione, gli abiti usati per la guerra saranno dati in pasto al fuoco.


Un bambino è nato per noi

È incredibile l'immagine di questo figlio che ci è stato dato, un bambino, sulle sue spalle è il potere e i suoi nomi sono evocativamente simbolici. Da una parte si dice che è nato, sottolineando la storicità dell'evento, dall'altra ci è stato dato (perfetto passivo) indica che è un dono di grazia di Dio agli uomini. Il testo di Isaia, scritto circa settecento anni prima di Gesù, ha bisogno di arrivare al vangelo per trovarne la chiave e la prospettiva: Non temete, vi annuncio una grande gioia. Vi è nato nella città di Davide un salvatore...troverete un bambino avvolto in fasce (Lc 2,12).

Isaia - e Dio stesso - parla per paradossi, i nomi che al bambino sono riconosciuti richiamano la potenza di Davide, la saggezza di Salomone, la paternità di Abramo, il consiglio di Mosè che parlava con Dio faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico (Es 33,11). Il suo sarà un regno di pace e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno. Anche di Gesù si dice sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine (Lc 1,32-33).


Grande sarà il suo potere

Tutto questo futuro non va letto in una prospettiva storica di un bimbo che crescerà e sarà potente, piuttosto nella scelta paradossale che Dio fa della piccolezza, della semplicità, della debolezza. Lo stesso Gesù ce lo ricorda: Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3). Se poi andiamo a guardare bene scopriremo che il potere che è sulle spalle di quel figlio donato è quello della croce.

Isaia annuncia il paradosso di Dio, il rovesciamento delle sicurezze umane e delle prospettive che le società vanno cercando. La storia degli uomini è nelle mani di Dio, il destino dei popoli non è nelle mani di chi è più prepotente, o del più forte, non in chi è capace di sparare più proiettili o di travolgere con un camion persone inermi, non è nella gestione assurda delle ricchezze, neppure nella globalizzazione della tecnologia. Il senso del futuro è in quel figlio che ci è stato dato, nella piccolezza e nella fragilità, nella profondità delle beatitudini, nell'esercizio della povertà, del perdono, dell'umiltà, della pace.