Omelia (25-12-2016) |
Paolo Curtaz |
Luce e tenebra Ancora Natale. Ancora qui, tutti. Pieni di luce, come dovrebbe essere, come Dio vuole che sia. Pieni di nulla, come cerca di farci diventare la festa senza festeggiato buona solo a suscitare emozioni e far vendere prodotti. Pieni di angoscia, come i troppi che vivono Natale come una maledizione da finire quanto prima e che no, non sono raggiunti da nessun angelo che li conduca a vedere quella stalla. Eppure, in tutto questo, ala leggerezza di Dio invade ogni angolo, acquieta ogni paura, converte il cuore di chi si lascia stupire, sorprendere, stordire, commuovere. Chi mai avrebbe potuto inventare un'assurdità del genere? Chi mai avrebbe potuto farci credere la più incredibile delle notizie? Dev'essere vero Natale, perché solo Dio poteva osare tanto. Dev'essere vero, perché è da pazzi immaginare una cosa del genere. La notizia di un Dio che diventa uomo. Che si fa accessibile, incontrabile, carne e sangue, tenerezza e calore, fragilità e compassione. Sentimenti, stanchezza, emozioni, fame e sete, caldo e freddo. Non esiste più un confine che separi umano e divino. Ora egli è qui. Perché? Perché lo ha fatto? Che senso ha? Perché mai Dio avrebbe dovuto abbandonare la sua perfezione per venire a conoscere la nostra miseria? Per voi è nato un Salvatore. Sono i pastori, gli ultimi, i perdenti, gli sconfitti del tempo di Gesù ad avere l'onore di essere degni della spiegazione di Dio. Dio si è fatto uomo perché ci ama. E più siamo fragili e maldestri, più abbiamo conosciuto miseria e disperazione, come i pastori, e più ci ama. Non in virtù dei nostri meriti, ma in proporzione alle nostre necessità. Dio si è fatto uomo per salvarci, per condurci a salvezza che è la pienezza della vita. Per portare a compimento quell'anelito insopprimibile che egli ha messo nel profondo del nostro cuore. Una voce intima, assoluta, che nemmeno il caos debordante in cui riusciamo a vivere riesce a zittire. Per dire ad ogni uomo che il fango è impastato di scintilla divina. Che, da ora e per sempre, umano e divino convivono in uno stesso corpo. Il corpo di un neonato. Vagiti Solo la nudità disarmante di un neonato avrebbe potuto convertire la nostra durezza. Durezza di peccato e di tenebra, ma anche di pianto e di dolore. E lì, davanti a quel bambino che allatta dal seno acerbo di un'adolescente colma di Dio, che i pastori e i magi e noi pieghiamo le ginocchia. Allora Dio è così? Fino a questo punto? La sua parabola si è consumata fra una mangiatoia ed una croce? Sì, è così. Ora Dio ha un volto, questo volto. E ci spiazza, ci destabilizza, ci imbarazza. Perché Dio osa consegnarsi, diventando il per sempre segno di contraddizione. Un Dio da accogliere cullandolo fra le braccia. O da annientare e perseguitare, cancellare e uccidere. Un Dio che ribalta ciò che pensiamo di lui. E che illumina ciò che siamo noi. O che potremmo diventare. Come i pastori Se davvero, oggi, avremo il coraggio di lasciare alle spalle tutto. Il tutto ingombro delle attese, del clima natalizio, delle ferite purulente, dell'indifferenza, della melassa che tutto soffoca. Se avremo il coraggio di seguire i tanti angeli che Dio continuamente ci invia, allora, forse, arriveremo alla mangiatoia. Dio si comunica sempre e solo attraverso ciò che riusciamo a conoscere, come la mangiatoia per dei pastori. E, dopo averlo visto, potremo tornare alla nostra vita lodando Dio a gran voce. La stessa vita che i pastori, due ore prima, maledivano, ora possiede luce sufficiente per essere trasformata. Questo è l'augurio più bello che oggi possiamo scambiarci. Che la venuta di Dio allaghi di luce il nostro sguardo perché la vita cambi. Dev'essere Dev'essere bello vivere, ed essere umani, e gioire, amare, crescere, lottare, piangere, se Dio ha voluto condividere tutto questo. Dev'essere bello se Dio ha divinizzato ogni gesto e ogni sussulto. Deve essere straordinario diventare capaci di accorgerci quanto siamo amati. Buon Natale, cercatori di Dio. Clicca qui per guardare il video del commento di Paolo Curtaz per la stessa domenica |