Omelia (01-01-2017) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Luca 2,16-21 Sono molti anni, ormai, che la Chiesa celebra la giornata della pace, istituita da S.Giovanni Paolo II: Appena sette giorni fa abbiamo contemplato il mistero del Natale, in tutta la sua grandiosa manifestazione, eserciti angelici compresi, i quali cantavano "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama."; è un testo che proclamiamo ogni domenica, tranne che in Quaresima, per tornare a cantarlo con tutto il fiato che abbiamo in gola, la notte di Pasqua. Noi Ti lodiamo, Ti benediciamo, Ti adoriamo, Ti glorifichiamo, Ti rendiamo grazie: 5 espressioni verbali che alludono ad altrettanti atteggiamenti del corpo, ma soprattutto dello spirito, del cuore, per esaltare la maestà divina, e per ottenere la salvezza, come canta uno dei Prefazi del Messale: "Tu non hai bisogno della nostra lode - recita l'incipit della preghiera eucaristica - ma per tuo dono ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva. E noi, con tutti gli angeli del cielo, innalziamo a te il nostro canto e proclamiamo insieme la tua gloria.". Dunque, la via maestra per raggiungere la salvezza è la celebrazione liturgica dell'amore di Dio: soltanto nella liturgia possiamo dare gloria a Dio in forma piena e perfetta; e questo, lo ripeto ancora, ci procura la salvezza. Già, ma che cos'è la salvezza? - Liberazione dai peccati, certo. - Liberazione da ogni forma di sofferenza, certo. - Liberazione da tutto ciò che condiziona la libertà, a cominciare dalle molte - troppe! - esperienze del limite, certo. - Liberazione, infine, dagli impedimenti all'incontro pieno e definitivo con Dio, certo. Ragionando sui termini della salvezza, siamo sempre tentati di pensare che la salvezza sia una realtà che ci attende (tutti) dopo la morte... In sostanza pensiamo alla salvezza eterna. Esiste però una salvezza presente che ci viene donata in questa vita e fa la differenza, rispetto a chi non crede e non pratica la fede. La pace che oggi invocheremo con speciale intensità, costituisce il segno supremo della vittoria di Cristo sulla morte; provate a contare quante volte, durante la Messa ci rivolgiamo al Padre e imploriamo la pace, ce la auguriamo vicendevolmente, con parole e con gesti... "Regina pacis", Regina della pace, è uno dei titoli con i quali chiamiamo la Madre di Dio, cantando le Litanie alla Beata Vergine: Maria è colei che ha dato al mondo il Principe della pace, come lo definisce il profeta Isaia (cfr. 9,5). Venendo ora al Vangelo, san Luca presenta la scena dell'omaggio dei pastori; anche il vangelo di Matteo costituisce una fonte preziosa per avere notizie sulla nascita del Signore: il primo e il terzo evangelista ci hanno consegnato 180 versetti, i cosiddetti Vangeli dell'infanzia. Dopodiché cala il sipario sulla Sacra Famiglia; ritroveremo Gesù, ormai adulto, ai guadi del Giordano, in fila tra i peccatori, che andavano a farsi battezzare da Giovanni. Nel Medioevo, i racconti del Natale, hanno ispirato l'idea del presepio vivente, oppure rappresentato con statue, statuine, in alcuni casi, vere opere d'arte. Contemplare il presepio in una sorta di fermoimmagine, insieme con i pastori, "funziona" benissimo, ai giorni nostri, per noi, abituati a commuoverci di fronte alle immagini sacre, forse un po' romantiche e sdolcinate, in una parola, edificanti, che ispirano sempre buoni pensieri... E magari ci scappa anche una lacrimuccia. La Rivelazione biblica, la grande verità che possiamo, anzi, dobbiamo portarci a casa, esattamente come fecero i pastori di Betlem, è questa: la condizione del Figlio di Dio, fin dal momento della sua nascita, non era diversa in nulla da quella di tanti uomini che hanno visto la luce in assoluta povertà e hanno vissuto altrettanto poveramente. Eppure, nonostante l'umiltà - meglio sarebbe dire: la miseria! - del presepe, quel bambino incuteva già timore - meglio sarebbe dire: terrore! - ai vari "Erode" della terra. Oggi è ancora così... Possiamo solo vagamente intuire la gioia che pervase quei pastori, quando videro e capirono che Dio era così vicino a loro da sembrare addirittura uno di loro: Dio non è solo sceso tra noi; Dio si è fatto uno di noi! Non dobbiamo fare neanche lo sforzo di avvicinarci a Dio, eterno desiderio dell'uomo di innalzarsi al di sopra delle proprie potenzialità, illudendosi di poter raggiungere l'Onnipotente. È stato Lui a fare il passo verso di noi, cogliendoci tutti di sorpresa. Chi non sarebbe colto da qualche perplessità, se gli dicessero che quel neonato bisognoso di tutto e di tutti è Dio Onnipotente, Colui che non ha bisogno di niente e di nessuno? È del tutto ragionevole! Ebbene, il Vangelo ci dice che "quei pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto...". Forse noi pensiamo troppo, ragioniamo troppo... e ciò che ripugna alla logica dei ragionamenti umani, non si riesce ad accettarlo senza sollevare obbiezioni... In questi casi, la ragione si oppone alla fede e le contende il primato. Se ai tempi di Gesù, qualcuno almeno non gli ha creduto, beh, non scandalizziamoci troppo; fossimo stati nei loro panni, non so se gli avremmo creduto... Nella loro semplicità, quei pastori gli hanno creduto; e per loro la salvezza si è compiuta. |