Commento su Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
"All'inizio era la Parola" (Gv 1,1). Così inizia l'Evangelo di questo nuovo Natale che siamo chiamati a vivere nell'ultimo scorcio dell'anno 2016.
La Parola, il Logos. Giovanni, il più greco tra gli evangelisti, usa proprio questo termine, Logos, che ha molteplici significati: parola, appunto, ma anche discorso, racconto, senso... Sono tutti significati contenuti in questa splendida pagina iniziale dell'evangelo giovanneo.
Il Logos è la voce di Dio, una voce che chiama a "essere", cioè a una nascita. Chiama a essere la terra e la trasforma in un giardino; chiama a essere l'uomo e la donna, e li trasforma in produttori di senso e di dialogo; chiama a essere gli abissi e li trasforma in culla; il vuoto, e lo trasforma in aurore e tramonti per la nostra meraviglia.
Il Logos chiama a "essere" il mondo, lasciandolo nella sua complessità, ma facendolo uscire dal caos indifferenziato; lasciandolo nella varietà e nella diversità delle specie, ma consentendo che questa diversità, non rappresenti una minaccia, ma una perenne ricchezza, quanto meno potenziale, per la nostra terra meticcia in cui coltivare la giustizia e la gioia.
Il Logos come fonte dell'esistenza umana riscattata mediante l'Incarnazione del Figlio; il Verbo. La Parola si è fatta carne per venire ad abitare in noi e in mezzo a noi, per realizzare compiutamente il Senso, una pienezza di vita. La Parola ha sconfitto il Niente, ed è salvezza per tutti.
Mentre scrivo queste parole, nella città in cui mi trovo provvisoriamente a vivere si stanno svolgendo i "mercatini di Natale" e di Santa Lucia. Una confusione indescrivibile li anima: ogni addetto alle innumerevoli bancarelle si sforza con la parola di attirare il maggior numero di compratori. Mi veniva da pensare, transitando per le vie del bellissimo centro storico di questa città, che se la Parola ha come orizzonte il conferire una ricchezza alla diversità, unificando il senso delle differenze di cui siamo portatori, qui prevale una logica diversa, la logica del mercato e della finanza che trasforma la multidiversità in uniformità, in omologazione. Non è difficile percepire come questo modello omologante - che nei giorni che precedono il Natale trova uno spazio generalmente considerato "naturale" e giustificato con l'atmosfera "magica", i doni e la "poesia" natalizia - riesca a influire in modo determinante sui nostri cammini sociali, ma anche spirituali, e a trasformarsi in ideologia che è sempre, per definizione, il nostro atteggiamento nei confronti del reale. E tuttavia questo processo, che contrasta e pare porre un freno al progetto dell'origine, è tutt'altro che astratto: non rimane sul piano della speculazione filosofica, ma agisce sui singoli soggetti, sulle singole famiglie, e sulle comunità; agisce sulle loro storie e sui loro percorsi di senso, impedendo quello sviluppo armonico dell'esistenza umana che avrebbe dovuto trovare nel giardino il luogo non soltanto fisico, ma anche antropologico e teologico dell'abitare.
Ora, di questo "abitare" il mercato è il vero, unico, incontrastato padrone. Esso modifica i rapporti tra persona e persona, tra persone e cose, tra compagni di lavoro, tra appartenenti alla stessa comunità ecclesiale. I modelli imposti dal mercato si trasformano in strutture condizionanti: si erigono a sistema gli sprechi, la sazietà di uno e la fame dell'altro, lo sfruttamento, l'accumulazione illegale di denari, il commercio della droga e la tratta degli esseri umani, il saccheggio delle risorse naturali, le schiavitù d'ogni genere, il traffico di armi accettato e gestito da tutti i Governi, i rifugiati, le guerre, le siccità, le paure, le fatiche d'ogni genere. Questo è il quadro. Anche di questo Natale 2016.
Nella Messa di mezzanotte, quella frequentata anche da persone normalmente "non praticanti", l'evangelo di Luca (2,1-14) riporta un'espressione terrificante nel suo crudo realismo: "Non c'era posto per loro nell'albergo". Dunque, già Maria incinta di Gesù e Giuseppe, il suo sposo, avevano dovuto subire le umiliazioni alle quali tutti i poveri vengono continuamente sottoposti. Essi non hanno trovato un luogo nel quale sostare, un alloggio ospitale. Tragico destino quello dei poveri e degli stranieri. Per loro non c'è mai posto. Non nelle case dei ricchi, non sulle coste dei Paesi in cui vengono sbarcati dalle "carrette del mare", non negli ospedali, non nelle fabbriche, non nella scuola. E neppure, spesso, nelle Chiese. In modi diversi, ma pur sempre umilianti, essi sono espulsi dal Nord del mondo, ricacciati al Sud di ogni Sud. La politica, la religione, la società, addirittura la nostra coscienza distratta coniugano per loro i verbi al futuro: farò, ci penserò, provvederò... E intanto Gesù nasce "fuori" e presumibilmente morirà anche "fuori". Ma questa espulsione non è forse senza significato teologico, perché ci consente di problematizzare i volti diversi dell'esclusione alla quale sono fatti oggetto i privilegiati di Dio, i figli prediletti del Padre. Di ascoltare il grido che viene dai margini della storia, il clamore che cresce per il riconoscimento della loro dignità, di seguire le tracce del Cristo, sempre crocifisso nella storia e dalla storia, di fare la scelta rischiosa del non adeguarci mai a ogni modello violento ed eventualmente di accettare di soccombere alla violenza del potente di turno.
Se ci fermassimo qui, per noi e per le nostre famiglie si prospetterebbe un messaggio di pessimismo, addirittura di sconfitta. Eppure qui ci soccorre ancora la parola di Giovanni: "... In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. (...) Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1, 4-5.9). È vero che la storia delle nostre famiglie non sempre ha un lieto fine, e che spesso gli avvenimenti di questa storia sembrano spegnere l'esile fiammella di luce. Ma le tenebre non sono mai assolute. Non ci sono tenebre in quella culla di fortuna; c'è sempre un intravedimento di luce, là, oltre il buio della notte. Lui è la luce vera, che illumina ogni donna, ogni uomo, ogni famiglia, anche quella più disastrata. Forse a ognuno di noi è successo di aver superato una crisi che pareva insuperabile. È una luce, una piccola luce che tuttavia rompe la completa oscurità. E se proprio da questa piccola luce dovessimo ripartire per recuperare una speranza perduta?
A tutti, buon Natale!
Traccia per la revisione di vita
- Come pensiamo di trascorrere il nostro Natale? Accettando l'invito suadente dei miti consumistici? Mettendo in prima fila il pranzo? Oppure come un'occasione per rientrare in noi stessi, per ri-centrarci, per cogliere l'appello che ci viene dai poveri e dagli sfruttati della terra e per trovare, insieme con loro e grazie a loro, un nuovo senso per la nostra esistenza?
- Sappiamo leggere negli avvenimenti quotidiani, anche i più banali, il piccolo frammento di una storia universale di salvezza? Quale spazio diamo alla nostra speranza?
- Quale impegno concreto siamo disposti ad assumere per diventare noi stessi uditori e annunciatori della Parola di misericordia e di salvezza?
Luigi Ghia Direttore della rivista "Famiglia Domani"
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