Omelia (06-01-2017)
padre Gian Franco Scarpitta
Il Tutto in un Bambino

Contemplando il presepe nello specifico della grotta con il Bambino accudito da Gesù e Maria, l'altro giorno mi veniva in mente una frase ascritta a Galileo intorno al moto della terra: "Eppur si muove". Guardando infatti la rappresentazione di Gesù, adagiato su quella scomoda culla improvvisata e istoriata di paglia e fieno, si ha l'impressione di un fanciullo esile e indifeso, abbandonato dall'approvazione della gente del luogo e garantito solamente dalle cure dei genitori, Maria e Giuseppe. Un Bambino semplice, che giace in un giaciglio di fortuna poiché gli era stato rifiutato qualsiasi alloggio adeguato e proporzionato sia alla sua piccolezza che alle estreme necessità della madre gestante. Eppure questo fanciullo "si muove", perché diventa subito oggetto di attrazione e a lui accorrono in molti, fra rozzi pastori e mandriani, avvisati da un gioioso annuncio angelico. Come osserva anche Ratzinger, Gesù Bambino e silente e riservato, non in grado di proferir parola, eppure richiama a sé tante persone già al momento della sua nascita, diventando luogo di accoglienza e di comunione. Comunione vincolante e dal sapore commovente, per la quale già Maria e Giuseppe si sentono in simbiosi e in reciproca appartenenza l'un l'altro, in forza della gioia scaturita dal Divino Fanciullo, che loro sano essere il Salvatore atteso sin dai secoli precedenti. E attorno al Bambino anche i pastori, categoria sociale da sempre reietta e discriminata, considerata rozza e incolta, godono del vincolo di unione e di solidarietà reciproca fra di loro e con lo stesso Bambino, incoraggiati dalla Novità assoluta che questi apporta proprio per loro. Attira anche l'astio di un re che perseguita tutti i bambini facendone fare efferata strage inaudita pur di giungere a massacrarlo, ma per estensione il Bambino avvince a sé, chiamandole alla comunione e alla solidarietà, tutte le genti, anche quelle più lontane e distanti. Per una volta il luogo di convergenza spirituale non è Gerusalemme (come sempre era stata per il maestoso tempio), ma la piccola cittadina sperduta di Betlemme e non solamente per zelanti Ebrei e professanti l'unico Dio d'Israele, ma a vantaggio di tutti quanti i popoli e le nazioni perché la salvezza appartiene a tutti gli uomini e non conosce confini. A Betlemme sono invitati tutti.
Ed eccoci a tal proposito alla figura di questi uomini sapienti e raffinati chiamati Magi, che in realtà sono raffinati astrologi e astronomi atti allo studio della posizione degli altri e della loro presunta interferenza sulla vita degli uomini. Alla stregua dei nostri fautori di oroscopi. Il luogo in cui Matteo li vede arrivare non è più la grotta, ma la "casa". E' probabile che fa la nascita del Divino Fanciullo e il loro arrivo sia intercorso del tempo considerevole e intanto i nostri Maria e Giuseppe abbiano avuto il tempo di trovare una dimora appropriata per il loro bambino ma la casa è anche il luogo dell'intimità e dell'accoglienza e ancora una volta si realizza l'universalità salvifica. I Magi vi giungono e si associano ai pastori e ai villici d religione ebraica nell'atto di adorazione del Signore e come si sa depongono i tre famosi doni espressivi della loro profondità di fede fino ad allora sopita e resa poco manifesta. Oro, incenso e mirra, che richiamano anche Isaia 60, 6, sono espressione della dignità divina di cui il Fanciullo è rivestito. I Magi con tale atto di donazione palesano infatti di credere fermamente e di aderire al mistero di un Dio che nel Fanciullo ha manifestato la sua gloria, la sua regalità ma che dovrà pagare un prezzo amaro per noi.
In questo episodio restiamo anche noi affascinati da come l'evento Gesù Cristo sia capace di unire e di eliminare le barriere e le distanze e di affratellarci tutti attorno alla semplicità di un Bambino, a condizione che anche noi sappiamo lasciarci avvincere da questo mistero di comunione con il solo atto di umiltà della fede e del consenso. Se l'Epifania (anche nell'accezione del termine) è la manifestazione di Dio appena venuto nella carne che produce frutti di universalità e di comunione globale, la nostra fede è l'accoglienza umile di tale manifestazione, l'elevazione del cuore e l'eloquenza del silenzio di fronte al fascino del mistero.
Il Figlio di Dio si è manifestato in Maria come figlio dell'uomo perché noi diventassimo figli di Dio dopo aver manifestato a Dio interamente noi stessi con le nostre precarietà e le nostre miserie. I nostri peccati sono la povertà che gli presentiamo mentre lui ci arricchisce solamente di se stesso e mentre gli esponiamo il nostro nulla lui per noi si fa Tutto. Il tutto in un Bambino al quale va un semplice assenso di fede.