Omelia (06-01-2017)
don Luciano Cantini
"Stessamente"

Il mistero

Nelle lettere di s. Paolo, e in modo particolare in Efesini e Colossesi, troviamo l'annuncio del mistero per eccellenza. È un mistero che appartiene al Padre ma che nel Figlio viene rivelato. Il mistero rappresenta non solo qualcosa di nascosto e di indicibile (in greco muto e miope utilizzano la stessa radice verbale) quanto una sorta di confine, un limite da cui osservare una realtà altra. La "mistica" (termine appartenente allo stesso gruppo di derivati lessicali) riguarda proprio la contemplazione oltre il limite del mistero che segna il confine tra nascondimento e rivelazione, chiusura e apertura, silenzio ed esplosione della lode.


Le genti sono chiamate

Questo «mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi» (Col 1,26) ha dello strabiliante sia per il popolo ebraico che si riteneva privilegiato dalla promessa di Dio sia per le genti, tutti i popoli della terra, soprattutto coloro che avevano la percezione di essere esclusi dalla vocazione universale alla salvezza. Già i profeti annunciavano un banchetto a cui tutti i popoli sono chiamati a partecipare, un progetto di liberazione: Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti (Is 25,7). Era l'annuncio dello svelamento del mistero.

Spiace che la nostra traduzione attutisca la forza che traspare dal testo greco, molto più semplice e sintetico, affermando, infatti, che le genti sono chiamate ad essere (espressione assente nel testo greco) sembra procrastinare un fatto che Efesini, invece, testimonia come già in atto, non un progetto che si realizzerà quanto una realtà già vissuta. Anche lo spostamento della espressione in Cristo Gesù immediatamente dopo può trarre in un certo inganno rafforzando il senso della promessa (letteralmente: compartecipi della promessa in Cristo Gesù mediante il Vangelo).


A condividere la stessa eredità

Per capire cosa Paolo ci sta dicendo occorre lasciarci meravigliare da tre parole, sono: synklêronoma (coeredi), syssoma (stesso corpo, concorpo), symmetocha (compartecipi). Queste parole sono accumunate dalla particella syn (con, stesso, insieme, unito), particella che dà anche origine ad una molteplicità di parole come sinonimo, sintetico, sinodo, sinergia, ecc. Messe così una dietro l'altra si integrano e si rafforzano a vicenda, ci offrono un testo pieno di enfasi. L'oggetto della meraviglia che ancora ci lascia perplessi e incapaci di capire e accogliere è che non è la stessa eredità, o la stessa promessa le cause della formazione dello stesso corpo, ma il fatto di essere "stessamente" eredi e "stessamente" partecipi. Ci troviamo davanti ad un'affermazione sorprendente, incredibile, colma di conseguenze straordinarie.


Per mezzo del Vangelo

Questo dobbiamo credere e questo, come cristiani - santi e profeti - dovremmo essere capaci di annunziare. Non si tratta di abbattimento di muri o di frontiere quanto superare ogni logica di divisione, capire ciò che è nel pensiero di Dio fin dalla creazione così meravigliosamente raccontato in Genesi: Adamà, primo creato, è segno di unità del genere umano e precede ogni divisione anche quella tra uomo e donna, perché che ogni divisione è orientata all'unità: Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne (Gn 2,24).

Dobbiamo anche credere alla forza dell'Annuncio del Vangelo: annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! (1Cor 9,16). Non è sufficiente credere, bisogna lasciarsi conquistare dalla gioia del Vangelo perché ci dia la forza della testimonianza e dell'annuncio.

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento (EG1).

Bisogna lasciarsi afferrare da questa Buona Notizia intrisa di misericordia, riconoscersi tutti figli dello stesso Padre, avere il piacere della riconciliazione, il desiderio di unificare ciò che pare radicalmente diviso, occorre convertirci l'uno all'altro. Solo eliminando le divisioni raggiungeremo quella pace che il Signore ha donato il giorno di Pasqua su cui fonda il suo Regno.