Omelia (06-01-2017)
don Maurizio Prandi
Un cuore senza confini

Ancora una volta, celebrando la manifestazione del Signore ai Magi, celebriamo l'infinità bontà e misericordia di Dio che vuole offrire ad ognuno la salvezza: si mostra come colui che non ha confini e non ha età. Oltre al vangelo è anche la tradizione popolare (della quale è bello mettersi in ascolto) ad affermarlo.

- Non ha confini, perché i Magi sono persone che provengono dai luoghi più diversi e lontani.

- Non ha età perché i Magi incarnano (lo leggevo in questi giorni in un autorevole commentario) le tre età dell'esistenza umana: la giovinezza, l'età adulta, la vecchiaia.


Facevo questo pensiero tra me: forse la fantasia popolare è ingenua, però è nutrita di quella saggezza di fondo che oggi rischiamo di perdere, perché da un lato viviamo paure, gelosie, invidie "strane"; abbiamo paura che gli altri ricevano più di noi e allora tentiamo di marcare un territorio presidiandolo (chissà, forse sono le stesse paure di Erode) e dall'altro ci lasciamo irretire da una tecnologia che toglie ogni spazio alla fantasia. Il significato di questa solennità è molto semplice così come è molto semplice il messaggio del vangelo di Matteo che quest'anno ci farà compagnia: all'inizio, nella visita dei Magi è chiaro che Gesù è quel pane-bambino disponibile per alimentare tutti gli uomini che da essi sono rappresentati e alla fine saranno i discepoli a portare il pane-bambino a tutti gli uomini sparsi nel mondo.


La prima lettura è tratta dal capitolo 60 libro del profeta Isaia chiamato: il poema di Sion. Soltanto pochi giorni fa dicevamo insieme che quello che la Bibbia chiama il monte Sion è quel particolare quartiere di Gerusalemme abitato da chi, tornando dall'esilio, dalla diaspora si ritrovava lì povero e bisognoso di tutto. Oggi tornando alle nostre case potremmo prendere in mano la nostra Bibbia e leggerci tutto il capitolo 60 e ci accorgeremmo di quanto la parola di Dio ci possa aiutare ad aprire la mente e il cuore. Possiamo, (scrive S. Zani in Servizio della Parola), riconoscere questo schema, molto semplice:

1) La prima parte è il cammino dei figli d'Israele e dei figli degli stranieri che salgono a Gerusalemme attratti dallo splendore della sua luce.

2) La seconda parte narra della restaurazione ormai completata di Sion grazie all'aiuto degli stranieri.

3) La terza parte è la descrizione di questa trasformazione in positivo della città, la quale viene presa a modello per il mondo futuro, per il regno dei cieli.


Il profeta Isaia qui si rivolge a Gerusalemme come se parlasse ad una donna che ha subito oppressione, maltrattamenti e rifiuto: è arrivato però un nuovo giorno, non è più il tempo dell'esilio, dell'oscurità e della tenebra: ci si può rialzare, ci si può rivestire perché la luce di Dio irrompe nell'oscurità!

Possiamo anche immaginarcela, credo, questa scena: Gerusalemme è posta in alto, su un monte e al sorgere del giorno viene illuminata per prima dal sole, mentre tutto il resto è avvolto ancora nell'ombra e nell'oscurità. Ma non per questo ci si può considerare i migliori o gli eletti, perché l'invito che fa la Scrittura è ad allargare la visuale, a guardare a chi sta arrivando, alle genti che vengono da lontano portando in braccio i figli e le figlie dispersi d'Israele. Tutti faranno la loro parte per ricostruire la città santa: i popoli del deserto porteranno a Gerusalemme le loro ricchezze per aumentare lo splendore del Tempio.


Anche Paolo, nella seconda lettura, ribadisce questa apertura: il cuore di Dio non ha confini e la sua grazia, ovvero il suo amore, sono per tutti! Quanto è necessario oggi, per me, ascoltare voci che aprano, e non chiudano; e il vangelo apre, apre a dismisura presentandoci queste figure, i Magi, che vengono da lontano cercando, e al contrario di quelli che stanno vicino (Erode e tutta Gerusalemme con lui), aprono le loro vite (gli scrigni) a Dio.


Forse si può davvero dire che l'Epifania è la festa dello sconfinamento. Sconfinano i Magi perché escono dal loro paese ed invitano a sconfinare, ad uscire, a partire, a mettersi in cammino. Mi pare bella la vita dei magi: una vita che cerca, che pone delle domande, che sbaglia (lo ripetiamo sempre: sbagliano stella ad un certo punto e quindi sbagliano città, sbagliano interlocutore) ma che non si chiude nel suo errore, una vita che non si arrende fino a che non ha trovato, una vita capace di cambiare, forse perché c'è una angelo che in sogno li avverte, ma forse perché il percorso che si decide dopo l'incontro con Gesù è sempre nuovo e diverso.

Quante indicazioni ci vengono dall'ascolto del vangelo:

1) La strada di Dio (R. Laurita) segue il percorso delle stelle: è necessario saper alzare lo sguardo per vedere una luce, che per quanto piccola e distante sia, ci permette di non perderci nella notte.

2) La strada di Dio segue il percorso dell'umiltà: chi viaggia di notte è obbligato anche a guardare a terra al momento giusto. Potrai allora contemplare il Bambino appena nato e contemplare quel Dio che tanto si cerca.

3) La strada di Dio segue il percorso dei profeti: hanno scrutato la Bibbia sì, ma le voci di tanti profeti di oggi si distinguono dai rumori di questo mondo.

4) La strada di Dio evita il percorso dell'uomo chiuso, dell'uomo che ha un cuore prigioniero dell'egoismo e dell'immobilità.

5) La strada di Dio segue il percorso degli audaci, di quelli che si lasciano coinvolgere, di quelli che hanno il coraggio di partire.

6) La strada di Dio ti porta a vedere a capire che quel Bambino non è di Maria o di Giuseppe ma è un bambino per il mondo, per l'umanità intera, per i vicini e i lontani, che viene a stare con tutti e per il bene di tutti. Quanti, nel corso degli anni hanno tirato questo bambino da una parte e dall'altra; lo Spirito Santo ha dato appuntamento a Betlemme invece alle persone più diverse perché di fronte a quel Bambino non ci si divida ma ci si unisca sempre di più.


Un ultimo pensiero sulla scena che si presenta agli occhi dei Magi: videro il bambino con Maria, sua madre. Un pensiero che non è mio ma è di papa Francesco il quale domenica scorsa non ha fatto per l'ennesima volta un'omelia teologica, speculativa su Maria Madre di Dio, ma ha semplicemente parlato delle mamme e di quanto da loro ha imparato; ne abbiamo letto alcuni passaggi nelle comunità di campo qui nella missione e quante donne si sono riconosciute in queste parole: una società senza madri sarebbe una società senza pietà, una società in cui c'è spazio solo per il calcolo; le madri, anche nei momenti peggiori, sanno dar testimonianza della tenerezza, del dono senza condizioni, della forza della speranza. Ho imparato molto da queste madri, che avendo i loro figli in prigione, o prostrati in un letto di ospedale, o sottomessi alla schiavitù della droga, con il freddo e con il caldo, con la pioggia o sotto il sole cocente non si danno per vinte e continuano a lottare per dare ai loro figli il meglio. O queste mamme, che nei campi dei rifugiati o nei paesi in guerra riescono ad abbracciare e sostenere senza arrendersi le sofferenze dei loro figli. Madri che si dimenticano di se stesse perché nessuno dei loro figli si perda.

Una donna, nella comunità di Jovero diceva: padre, ma allora le madri sono come Dio, che fa di tutto perché possiamo riprendere il cammino del bene e dell'amore e prova e riprova soprattutto con quelli che hanno più bisogno e sono più testardi.

E' proprio vero che Dio non cessa di stupirci e di manifestarsi!