Commento su 2Tm 1, 6-8
«Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo».
2Tm 1, 6-8.
Come vivere questa Parola?
Il giorno dopo la festa della "conversione" di S. Paolo vengono ricordati i santi Timoteo e Tito, suoi discepoli e stretti collaboratori nella diffusione del Vangelo e vescovi della Chiesa primitiva. Io mi limiterò a qualche breve riflessione sulla prima lettura riportata dalla liturgia odierna, tratta dalla seconda Lettera di Timoteo.
Nel testo liturgico riportato, colmo dell'affetto dell'Apostolo verso il suo discepolo, Paolo cerca di incoraggiare Timoteo, che era portato per temperamento a uno "spirito di timidezza", ed era quindi piuttosto intimorito di fronte alle persecuzioni del suo tempo. Il primo e fondamentale motivo di coraggio, Timoteo lo deve trovare nel suo intimo, cioè nella ‘grazia di Dio' (chàrisma) della sua Ordinazione presbiterale ricevuta «mediante l'imposizione delle mie mani». In tale rito sacramentale, la «potenza di Dio» lo ha corroborato nell'amore disinteressato verso i fratelli. In virtù di questo «rafforzamento» interiore Timoteo non «si vergognerà» più di dare la propria testimonianza a Cristo e neppure proverà vergogna della prigionia di Paolo, ma si sentirà pronto «a soffrire insieme» con l'Apostolo e gli altri confessori della fede.
Tale disposizione interiore è alimentata costantemente dalla «grazia» o «carisma» sacramentale, che però non è qualcosa di magico che opera automaticamente e indipendentemente dalla libera adesione personale, tanto che si può anche spegnere, come un fuoco che non viene alimentato. Pertanto l'Apostolo esorta Timoteo con una immagine assai suggestiva, a «rattizzare il carisma di Dio», cioè a ravvivare il fuoco della grazia. Il termine greco usato dall'Apostolo nel testo originale (anazopyrein) è un verbo che appare nel Nuovo Testamento solo in Paolo, in questo passo (hapax). È l'azione propria di chi soffia nel fuoco per togliere la cenere che minaccia di soffocare il fuoco e di spegnerlo.
È interessante annotare che questo verbo greco usato da Paolo, assai raro nel Nuovo Testamento e nei primi Padri della Chiesa, appare anche in un bel testo delle lettere di Ignazio di Antiochia riportato più sotto in riferimento al "sangue di Cristo".
La voce di Ignazio di Antiochia
"Essendo imitatori di Dio, ravvivati (anazopyrein) nel sangue di Dio, avete compiuto perfettamente l'opera a voi congeniale".
Lettera agli Efesini 1,1
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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