Omelia (01-03-2017)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Lucia Piemontese

Il contesto del Vangelo odierno è il «discorso della montagna» o «discorso evangelico». Si tratta della prolungata istruzione di Gesù ai discepoli che forma i capitoli 5-7 del Vangelo di Matteo e che delinea l'identità dei discepoli di Cristo, figli del Padre che è nei cieli. Dopo aver ascoltato nelle domeniche precedenti le beatitudini, i discepoli definiti come sale della terra e luce del mondo e la lettura più compiuta di alcuni comandamenti, oggi il Vangelo (capitolo 6 di Matteo) si apre con un avvertimento generale sul come vivere le pratiche basilari di elemosina, preghiera e digiuno, espresse con la sintetica formula del «fare la giustizia». Gesù mette in guardia dal pericolo di fare queste opere ( e ovviamente tutte le altre opere buone) per vanagloria, al fine di essere ammirati dagli uomini perché in tal caso non si avrà la ricompensa di Dio. Gesù nota probabilmente gli atteggiamenti di ostentazione di quelli che accusa di ipocrisia ma, ancor più, conosce il cuore dell'uomo e sa che esso è sensibile alla vanità. L'avvertimento del Signore ci pone implicitamente una domanda: tu discepolo, davanti a chi vuoi vivere? Di chi vuoi la stima? Da chi vuoi essere giudicato? Da Dio o dagli uomini? In base alla tua scelta ti procurerai una ricompensa eterna dal primo o una ricompensa mondana dai secondi.
Poi Gesù entra nel merito del singole pratiche e costruisce gli esempi per contrapposizione: prima il modo sbagliato e poi quello giusto di viverle. Il modo sbagliato è ostentarle, il modo giusto è viverle nel «segreto» ovvero nell'ambito della relazione personale ed intima con il Padre. Notiamo che nel discorso della montagna il Signore orienta continuamente i discepoli al rapporto di figli con il Padre celeste (Padre vostro- tuo - nostro).
Per l'elemosina il modo sbagliato è «suonare la tromba» cioè farla notare da tutti, sfoggiando in tal modo ricchezza e potere (cf Lc 21,1ss). A chi agisce così non importa nulla del povero, interessa piuttosto soddisfare un bisogno di grandezza e di gloria umana. Questa gloria è la ricompensa che cerca ed è l'unica che avrà. Ma Gesù ci dice di più usando l'immagine paradossale della sinistra che non deve sapere cosa fa la destra: l'elemosina deve restare «nascosta» anche a chi la fa! Vuol dire che dobbiamo state attenti a non vantarci neanche in noi stessi.
Riguardo alla preghiera, il Signore non dice che non si deve pregare in pubblico ma che bisogna farlo senza esibizionismi perché la preghiera è colloquio intimo con il Padre. Mettere in mostra la propria devozione, godere dell'approvazione e degli sguardi umani è ricerca di una gloria effimera. La «propria camera» è l'interiorità del cuore e Gesù aggiunge anche che bisogna «chiudere la porta», a dire che c'è e ci deve essere in noi uno spazio sacro specialissimo, riservato all'incontro con il Padre. Sembra di percepire quasi una risonanza dell'esperienza di preghiera che Gesù Figlio ha con il Padre e infatti, subito dopo, insegna la preghiera del Padre nostro, preghiera d'amore dei figli di Dio.
Infine, c'è una parola anche contro l'ostentazione del digiuno. Su questo ci sono pagine belle e forti nei profeti (cf Is 58). Al discepolo Gesù propone di digiunare senza mettere in risalto l'aspetto smorto che il digiuno provoca ma, anzi, nascondendolo. Quando si digiuna bisogna farsi belli e profumati. Questa indicazione è una piccola perla preziosa e certamente più di un semplice agere contra.
Se la Chiesa ci fa ascoltare nel mercoledì delle Ceneri queste parole del Signore è perché esse contengono le istruzioni per il nostro cammino quaresimale, un cammino che deve rinnovarsi (nel senso di essere sempre nuovo) ogni anno. Ma a cosa servono queste pratiche considerate comunemente «quaresimali» e che in realtà sono parte integrante della vita cristiana? Preghiera, elemosina, digiuno sono le vie che ci aiutano a vivere, a purificare e far crescere la nostra relazione con Dio, con il prossimo e con noi stessi; praticandole, pian piano l'egoismo diminuisce mentre Dio e i Fratelli crescono. Per questo sono definite da Gesù come il «fare la giustizia», perché ci indirizzano ad essere giusti nei nostri rapporti. Questa giustizia non può nascere da uno sforzo ascetico e volontaristico ma solo dal riconoscimento della giustizia che Dio ha fatto e fa a noi. E la giustizia di Dio ha il volto del suo Figlio Gesù, morto e risorto per noi, al quale vogliamo assomigliare.
La preghiera è la pratica fondamentale perché espressione del rapporto con Dio (non a caso l'evangelista ha posto il Padre nostro al centro del discorso della montagna). Questo vale sempre, ma in Quaresima siamo invitati a pregare di più con lo scopo di crescere nella preghiera. Non vuol dire aumentare le parole nostre ma l'ascolto di quelle di Dio. Ritagliamoci, dunque, un tempo, anche breve, ma esclusivo e di qualità dedicato al colloquio con il Signore attraverso la sua Parola, chiudendo la porta alle tutte le altre cose e pre-occupazioni.
Il digiuno, lungi dall'essere una pratica antiquata, è un percorso potente di purificazione personale. L'astinenza dal cibo ha un significato antropologico forte, ma va accompagnata dall'astinenza da ciò che più ci «occupa»: abbiamo moltissime esigenze, siamo ipertrofici nei consumi, ci crediamo liberi e siamo schiavi di molte abitudini. Dobbiamo digiunare dal peccato, dai vizi, dalle troppe parole e immagini vane che affollano la mente e i sensi. Gesù ci ha liberati e in Quaresima ci sostiene nel cammino di conversione per giungere a celebrare la sua Pasqua.
L'elemosina non è azione umana, ma divina. Il primo che fa elemosina/misericordia è Dio, Lui è l'elemosiniere (elēmôn, cf. Es 34,6). Noi, quali discepoli e figli, siamo chiamati a condividere la sua pietà, ad assomigliargli nella misericordia e nella compassione. Fare l'elemosina vuol dire «guardare realmente» negli occhi il fratello, come ha detto il Papa. Passare senza incrociare lo sguardo e buttare là uno spicciolo provoca solo un senso di imbarazzo e di avvilimento, mentre rendersi conto dei bisogni e dare ciò che serve (beni, tempo, affetto, amicizia) crea calore e da vita. Quanto più se quello che diamo è il frutto del nostro digiuno!
L'amore di Dio, sperimentato nella preghiera, ci porta al digiuno e all'elemosina. E nell'orizzonte di quell'amore queste pratiche sono accompagnate da una gioia, che è già caparra della ricompensa che il Padre darà. Se cerchiamo in Dio la stima, della quale pure abbiamo bisogno, allora ci scopriremo pienamente gratificati e riconosciuti dall'amore del Padre e potremo stare davanti agli altri in modo libero, senza renderli funzionali alle nostre esigenze di gloria e senza neanche dipendere dalle loro opinioni.
Al termine di queste riflessioni, possiamo capire quel «farsi belli e profumati» quando si digiuna come un segno di libertà e di gioia: siamo in cammino verso la Pasqua del Signore nella quale il nostro uomo vecchio muore per far posto all'uomo nuovo, che vive alla presenza del Padre, capace di amore per i fratelli, semplice e povero in spirito.