Omelia (14-04-2017) |
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Commento su Giovanni 18,1-19,42 La celebrazione liturgica della passione e morte del Signore presenta brani biblici che ogni cristiano dovrebbe meditare a fondo: la profezia di Isaia, che indica, secoli prima che avvenga, il significato e il valore della morte di Gesù; la narrazione di Giovanni, che, unico tra gli apostoli, è stato testimone della sua agonia fino all'ultimo respiro; e la lettera agli ebrei, che aiuta i credenti a rendersi consapevoli del dono immenso ricevuto dalla morte di Gesù. Isaia annuncia la morte di Gesù come "sacrificio di riparazione": egli è l'"agnello condotto al macello", "trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità". Noi meritavamo il castigo di Dio, ma questo "si è abbattuto su di lui" ed è questo castigo "che ci dà salvezza". In virtù del suo sacrificio Gesù "avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente". Il castigo subito per la nostra salvezza diventa quindi gloria: "Vedrà la luce... giustificherà molti" e riceverà "in premio le moltitudini". La profezia di Isaia trova riscontro nel racconto della passione secondo Giovanni, nel quale emergono infinite venature di rivelazione sulla salvezza che dalla morte del Signore scaturisce. Gesù non è vittima sacrificale contro voglia, ma salvatore che muore per sua scelta: "Sono io" dice a chi lo arresta, consegnandosi spontaneamente. Coloro che lo condannano, credendosi signori della sua vita e della sua morte, in realtà sono strumenti inconsapevoli del progetto di salvezza di Dio; così avviene per Caifa' che, inconsapevolmente profetizza il valore salvifico della morte di Gesù "per il popolo". Così pure Pilato, che dichiarando "Ecco l'uomo", non sa di esprimere la verità sull'uomo più grande della storia: l'uomo per eccellenza, che è allo stesso tempo Figlio di Dio; che nobilita ed esalta, seppure coronato di spine, la dignità suprema di ogni uomo. In tutta la vicenda del processo appare con meravigliosa grandezza la dignità umana di Gesù, che in nessun modo si lascia terrorizzare da un processo iniquo, ma anche in questo terribile momento annuncia e rivela le verità supreme del progetto di Dio. Appare, insomma in questa narrazione che, se è vero che Gesù muore come vittima della malvagità dei persecutori, questi, però, non fanno altro, inconsapevolmente, che portare a compimento il progetto eterno del Padre per la salvezza dell'umanità. Giustamente, pertanto, la Lettera agli Ebrei sottolinea che con la sua obbedienza Gesù "sommo sacerdote grande", "divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono". Ecco allora il messaggio del Venerdì Santo: quella che umanamente appare come una sconfitta è, in realtà, la grande vittoria del bene sul male, di Dio sulla malvagità umana; e anche la vittoria dell'umanità, riscattata dalla condanna generata dal peccato di Adamo. Commento a cura di Vincenzo Rini |