Omelia (13-04-2017) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La profondità del donarsi di Gesù In Gesù Cristo è avvenuta la rivelazione di tutto ciò che Dio aveva da manifestarci e in Lui, Dio fatto Uomo, riscontriamo che la rivelazione è la piena autocomunicazione di Dio all'uomo: egli rivela se stesso indefinitamente e senza riserve, familiarizzando con l'uomo e facendosi dono per lui. La Settimana Santa ci ragguaglia che questo donarsi di Dio all'uomo assume maggiore consistenza e profondità, si delinea con connotati del tutto singolari e con caratteristiche inopinatamente nuove, perché diventa per noi evento di redenzione e di salvezza. La Domenica delle palme ci invitava a riflettere sul fatto che Gesù Cristo, Re Universale indomito e assoluto, riconosciuto ed esaltato come tale mentre viene accompagnato nel suo ingresso a Gerusalemme, non risparmia se stesso concedendosi all'infamia degli uomini e affrontando volontariamente le loro ingiustizie e le loro aberrazioni. Oggi siamo invitati a contemplare come il suo farsi di dono agli uomini assume un'ulteriore profondità, perché Gesù provvede a fare di se stesso un dono perenne, costante, preoccupato com'è che la sua presenza reale persista nel perdurare dei secoli anche al di là degli eventi che lo riguarderanno di li a poco. Gesù trova una modalità di presenza che si protrae nel tempo, per la quale noi possiamo avere la certezza che egli davvero sarà con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo, non soltanto nel senso metaforico o spirituale del termine, ma anche nel senso reale e sostanziale: noi possiamo godere perennemente del dono del suo stesso Corpo e del suo stesso Sangue e della comunione che da Questi scaturisce. Una presenza misteriosa, che richiede un particolare esercizio di fede, a detta di chi non crede paradossale, ridicola e assurda, eppure presenza certa e reale. La sua concretezza effettiva prende corpo quella sera della Cena che per i vangeli Sinottici avviene la vigilia di Pasqua e per Giovanni la sera dell'antivigilia (Ratzinger), nella quale Gesù innanzitutto vive la familiarità e la condivisione di se stesso con i suoi, prendendo posto a tavola e consumando il pasto con loro. Come un padre di famiglia crea comunione, nonostante la tristezza e l'angoscia nei presenti, avvalorata dalla presenza di un ignoto nefasto elemento che sta per tradirlo. Il banchetto si realizza nonostante i volti attoniti e perplessi degli altri discepoli che domandano ciascuno: "Sono forse io Signore?" e anche nello svelamento del colpevole Gesù continua la sua perenne opera di comunione e di condivisione e anzi proprio nello smascherare Giuda egli rende partecipi i suoi del suo disagio e del suo disappunto, anche se questo troverà debita spiegazione nella volontà del Padre. La comunione il dono di Gesù si concretizzano ulteriormente nello spezzare il pane. Un gesto questo allusivo alle usanze familiari del tempo, che simboleggia la condivisione e la solidarietà nonché il donarsi di qualcuno a cui il pane è rivolto. Cristo distribuendo il pane "spezza" se stesso ripartendosi a tutti in parti uguali e caratterizzando così con profondità il dono che egli aveva già fatto in precedenza di se stesso e che culminerà con l'evento della croce e della risurrezione. Ma è soprattutto nelle parole "Questo è il mio Corpo", "Questo è il mio Sangue", "Fate questo in memoria di me" che Gesù perpetua il dono di se stesso a tutti gli uomini di tutti i tempi, garantendo una presenza ineffabile eppure certa, misteriosa eppure reale, significata eppure effettiva. La copula "è" delle frasi suddette è infatti corrispondente al greco "estin" che delinea l'essere reale e sostanziale e non il simbolo o l'apparenza. "Questo è il mio Corpo" è un'espressione con il chiaro significato di "Questo sono io" nella semantica orientale. "Fate questo, ogni volta che ne mangiate e ne bevete in memoria di me", invita inesorabilmente a perpetuare il memoriale di questa presenza nei secoli a venire, in modo che essa sia effettiva e abbia la stessa valenza salvifica e i medesimi apporti spirituali che adesso assume per i discepoli al banchetto. Tutte le volte che si celebra un'Eucarestia nelle parole del ministro avviene la "transustanziazione", cioè la sostanza del pane e del vino si trasformano in quella del Corpo e del Sangue reali e quello che sotto l'apparenza dei due elementi noi vediamo è lo stesso Gesù di Nazareth, il medesimo uomo di Galilea che continua a presenziare per guidarci, condurci e sostenerci. La sua presenza certa di Risorto che tuttavia ripresenta l'evento sacrificale di se stesso. Dicevamo poc'anzi che si tratta di un argomento del tutto impensabile e inconcepibile per chi è abituato a bizantineggiare sulle cose e sugli eventi e a darsene una ragione solamente razionale. Per coloro che non accettano un simile argomento, la presenza eucaristica è qualcosa di impensabile, assurdo e ai limiti della follia e dell'insulsaggine, ma non dimentichiamo che proprio in ciò che comunemente l'uomo definisce stolto Dio manifesta la sua potenza e che i procedimenti divini vertono in senso del tutto opposto rispetto a quelli umani. Oltretutto, se Dio ha mostrato la sua onnipotenza estrema nel farsi uomo nel grembo di una vergine, se la sua grandezza è tale da essere Uno e tuttavia Tre Persone, non è difficile per lui rendersi presente in una minuscola particola di pane e in ciascuna delle porzioni di questa, quando essa si ripartisce. Meglio ammettere, come diceva Pascal, che l'ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono un'infinità di cose che la sorpassano e che la fede non muove a dispetto della razionalità quando esalta l'onnipotenza divina. Non è contrario a ragione che a Dio sia possibile anche l'inimmaginabile. Soprattutto quando, come nel nostro caso, la sua onnipotenza si concilia con l'amore di donazione. E' infatti per amore dell'uomo, per lo spasimo che la redenzione continui nella storia, che Gesù realizza questa sua presenza sostanziale nel pane e nel vino. Vuole concedersi all'umanità tale e quale si era concesso in terra di Galilea, protraendo la sua missione in ogni angolo del mondo e quale soluzione più adeguata può trovare se non quella della transustanziazione? In tal modo egli realizza la profondità del suo donarsi, il raggiungimento dell'uomo singolo fin nella profondità del suo animo e della comunità degli uomini nella forma della comunione e della condivisione che egli realizza nel sacramento del "pane" e del "vino". Ratzinger sottolinea infatti che fra la Cena e la croce vi è una relazione indissolubile e senza l'una non si potrebbe comprendere l'altra. Infatti nelle sue parole Gesù anticipa il sacrificio che di li a poco egli farà di se stesso: nel Corpo e nel Sangue Gesù anticipa la sua immolazione, la rende presente, ne comunica a tutti la portata redentrice e invita i suoi ad immedesimarvisi per poterne trarre frutto. E così ad ogni celebrazione eucaristica anche noi abbiamo modo di osservare la ripresentazione di un evento unico che è avvenuto una volta per tutte sul luogo detto Cranio. Vediamo la riattualizzazione dell'immolazione di Cristo e questo prendervi parti diventa per noi medicina nella misura in cui per il Cristo è stato dolore e distruzione. Dal sacrificio di Cristo si assume infatti forza, tenacia, vigore e si procede nella vita rincuorati e santificati, pronti ad affrontare tutte le sfide e tutti gli imprevisti. E sia assume il dono dello stesso Cristo che "offre la sua vita per riprendersela di nuovo" donando in questo anche la sua Resurrezione. |