Omelia (14-04-2017) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di Giuseppe di Stefano Dio è povero Ormai ci abbiamo fatto l'abitudine. I chiodi, il martello. La croce. E Gesù steso sopra. La occupa tutta. Doveva essere, però, uno spettacolo terrificante. Gli evangelisti se la sbrigano con pochissime parole. Marco, addirittura, si limita a scrivere: «...Poi lo crocifissero» (15, 24). Quasi per allontanare un'immagine insopportabilmente atroce. «I primi cristiani, infatti, non senza orrore riproducevano il Cristo in croce, poiché avevano sotto gli occhi la vista di quei poveri corpi completamente nudi penzolanti da un tronco grossolano sormontato da una sbarra trasversale, in forma di T, con le mani inchiodate al supplizio, ed i piedi parimenti fissati per mezzo di chiodi, col corpo cascante sotto il proprio peso, mentre i cani, attratti dall'odore di sangue, mordevano i piedi e gli avvoltoi volteggiavano sui corpi appesi; il condannato, esausto dai tormenti bruciato dalla sete, invocava la morte con grida inarticolate. Era il supplizio degli schiavi e dei briganti e fu quello a cui venne condannato Gesù» (M. J. Lagrange). Eccolo sulla croce: nudo, grondante sangue e disperazione. Finalmente cancellato, finalmente allontanato dall'uomo che ha la presunzione di sapere tutto, che crede di potersi salvare da solo. Eccolo: Dio è fragile, svelato, consegnato, donato, vulnerabile. Dio è povero. È la croce che inchioda Dio alla sua povertà: è il rischio di chi ama sul serio, fino a morire d'amore. Non sono bastate le parole e i miracoli, macché... L'uomo conserva un cuore duro, difficile da capire. Occorre un ultimo drammatico gesto, un segno inequivocabile, indiscutibile. La croce è e resta l'unità di misura esagerata di come Dio ama. Eccolo Dio, appeso al patibolo degli schiavi. Povero della fiducia delle folle. Povero della riconoscenza degli innumerevoli beneficati. Povero di amici. Povero di risultati. Povero di tutto. Un fallito. Gli hanno preso perfino i vestiti. È ridotto a un cumulo di sofferenze. Povertà spinta all'estremo. «È diventato lui stesso maledizione per noi» (Gal 3, 13). E noi che puntiamo sulla sicurezza, sul denaro, sul numero, sul potere, sulle tecniche all'avanguardia, sul prestigio, sulla forza sulle leggi, sulla cultura, avremo il coraggio, finalmente, di puntare tutto, unicamente, sulla stoltezza disarmante della croce? È proprio il caso di dire che sul Calvario, termina la nostra fuga. Nell'istante in cui l'irriducibile Inseguitore viene arrestato, consegnato nelle mani degli uomini, ridotto allo stremo delle forze, «tolto di mezzo», inchiodato, ci raggiunge. Lui ha i piedi inchiodati. Eppure percorre tutte le strade, tutti i sentieri del mondo alla ricerca di «ciò che era perduto». Lui ha le mani inchiodate. Eppure abbraccia tutti noi, poveri fortunati fuggiaschi, in un gesto di sconfinata tenerezza. Non riusciremo più a sottrarci a quella stretta implacabile. Dovevamo pur saperlo. Dio è povero. Ma non si rassegna facilmente a essere «impoverito» dell'uomo. Riconosciamolo. La nostra fuga è finita. Siamo caduti nell'agguato della misericordia. |