Omelia (14-04-2017) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Pazzo per amore La croce può essere considerata lo strumento di pena capitale più atroce che un condannato a morte possa subire. Cicerone la definiva "il supplizio più crudele e più tetro". In essa si resta appesi per ore, a volte anche intere giornate, in una lenta quanto atroce agonia che termina con il collasso cardiocircolatorio e non di rado si deve far leva sulle gambe per poter respirare. Questo è il motivo per cui solitamente si era soliti spezzare le gambe allo sventurato crocifisso quando ancora era in vita: per accelerarne il decesso. Gesù vi si avvicenda con molto coraggio, ben sapendo di esservi condannato ingiustamente e che potrebbe apportare non poche motivazioni convincenti per scongiurare una simile condanna. A dover finire sulla croce, secondo le prescrizioni romane ( uniche detentrici di potere decisionale su una condanna a morte) erano infatti i criminali e i sovversivi e su Gesù non pende alcuna accusa che meriti la pena capitale. I Giudei vogliono la sua condanna perché "da uomo si fa Dio", trovando per la cattura il pretesto che lui avrebbe "minacciato" la distruzione del tempio con una profezia che in realtà riguardava il proprio corpo, ma nessun capo d'imputazione da parte di Roma perché meriti l'estrema condanna. Lo stesso Pilato se ne rende conto e fa di tutto per liberarlo; sa bene che non è reo di morte e che sarebbe suo dovere salvarlo avendo egli il compito di condannare solo i colpevoli secondo la legge romana. E difatti invitata Gesù a ribattere alle accuse che gli vengono mosse da testimoni non del tutto attendibili. Resta sconcertato dal suo silenzio e dalla sua imperturbabilità. Gesù infatti tace e acconsente senza reagire all'umiliazione e alle percosse. Eppure potrebbe benissimo difendersi a pieno diritto. Gesù ha accolto deliberatamente e senza restrizioni il progetto del Padre, che lo espone all'ignominia per il bene di tutti gli uomini e che ha deliberato che egli si consegni agli assassini. Il Figlio di Dio per amore dell'uomo sceglie così di morire vittima innocente in una morte infame e dissacrante. Come dirà poi Paolo, in Cristo Dio sceglie la via comunemente detta assurda e scandalosa, quella che comunemente noi definiamo pazzia. Proprio in essa vuole manifestare la sua potenza e la sua ineffabile sapienza, secondo un procedimento del tutto opposto a quello a cui noi saremmo abituati: "Mentre i Giudei chiedono miracoli e i pagani cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocififisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio..." (1 Cor 20). Così come avviene molto spesso ai nostri tempi, vi erano presso la prima cristianità due tendenze culturali: 1) quella giudaica che ammetteva la verità di Dio solo in relazione ad un evento soprannaturale, per la qualcosa Dio per essere tale deve per forza mostrarsi attraverso un prodigio o un evento sconvolgente; 2) quella pagana, espressiva dello gnosticismo e della mentalità sofista, secondo la quale Dio non lo si può raggiungere che attraverso la razionalità e la conoscenza materiale sperimentale. Dio, a detta dei sostenitori delle tesi suddette, potrebbe essere conosciuto solo perché egli stesso si manifesta per mezzo di prodigi, segni e atti miracolosi o perché a lui si approda attraverso procedimenti scientifici e di pura razionalità. Concepire quindi un Dio che si rende uomo che per di più si lascia crocifiggere è considerato inaudito e irrazionale. Pazzesco e impensabile. Proprio questa è invece la scelta del Dio di Gesù Cristo: la pazzia della croce. Essa non può trovare spiegazioni che nell'amore smisurato per l'uomo nella volontà concreta che questi si salvi e torni alla comunione con Dio Padre. Solo l'amore può costituire il motivo basilare della scelta di Gesù per l'irrazionalità e per l'assurdo di una croce. Anche nel linguaggio comune, la passione suggerisce la disposizione ai patimenti e alle sofferenze per qualcosa che si ama intensamente, per cui vale la pena sacrificarsi e donare anche se stessi. Chi è appassionato di calcio rinuncia perfino al pasto quotidiano per assicurarsi un posto in tribuna allo stadio, affronta sacrifici e rinunce pur di andare anche all'estero a sostenere la squadra del cuore. Chi patisce fondamentalmente ama. Ciononostante, nessuno sarebbe in grado di sacrificarsi per i propri nemici, per gli estranei. C'è chi volentieri è disposto a farsi uccidere o a perdere la propria incolumità per il bene dei propri figli, ma difficilmente potrebbe avvenire che ci si disponga a morire per gli ingiusti e per i perversi. La passione di Gesù trova fondamento nell'amore con cui Dio da sempre ha voluto guardare con attenzione questa umanità dispersa dal peccato, decaduta dopo la rovina della colpa originale, soprattutto per coloro che del peccato hanno fatto consuetudine e norma di vita, trovando nel male anche il principio di appagamento. Cioè in definitiva noi tutti, che con il peccato viviamo il compromesso anche in ragione di una presunta moralità corrente, con le conseguenze perniciose di morte, orrore e distruzione che contristano la nostra convivenza. Cristo sulla croce paga il prezzo delle nostre colpe, anche quelle che solitamente noi non consideriamo tali e che proprio per questo ci firmano una quotidiana sentenza di condanna. E appunto per recuperarci tutti alla vita e alla speranza affronta volentieri un sacrificio straziante e cruento .che di fatto potrebbe essere evitato quanto alle disposizioni dell'Impero Romano ma che dev'essere accettato in ordine al piano di salvezza voluto dal Padre. La croce è in effetti una pazzia, uno scandalo per chi non è abituato a cogliere l'intensità dell'amore o per chi preferisce una soluzione più semplice e diretta; essa è un abominio, vergogna per coloro che restano prigionieri della logica della vendetta e della ritorsione, considerando la violenza come sola risorsa di contropartita al male. Ma un Dio che si è fatto uomo vivendo tutto l'esperibile della nostra insufficienza, vivendo umile e dimesso, povero fra i poveri pur proclamandosi Figlio di Dio e Re, un Dio Amore che aveva già dimostrato nelle opere di misericordia di essere totalmente dalla nostra parte e di volerci coinvolgere nella sua benevolenza immeritata, quale altra procedura poteva scegliere, se non quella dell'amore passionale e spasimante capace di consumarsi per noi in un crudele strumento di condanna? Lo ha scelto deliberatamente e senza riserve, perché deliberatamente noi potessimo scegliere lui. |