Commento su Gv 18,12-27
Collocazione del brano
Gesù è stato arrestato e viene portato davanti alle autorità giudaiche. Il processo a suo carico ha inizio. Intrecciata al processo vi è la narrazione dei rinnegamenti di Pietro.
Lectio
12Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù e lo legarono.
La scena dell'arresto si conclude con le guardie che portavano via Gesù. Giovanni presenta Gesù come un soggetto pericoloso (cf. Gv 11,57), perciò deve essere subito legato e portato via.
13e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno.
Stranamente Gesù viene prima portato da Anna, suocero del sommo sacerdote in carica. Questo personaggio è stato ignorato dai Sinottici. Sommo sacerdote negli anni tra il 6 e il 15 era stato destituito dai Romani; tuttavia secondo il diritto giudaico conservava il titolo e l'influenza di sommo sacerdote. Luca lo ricorda come riferimento storico (Lc 3,2) e lo nomina a capo dei membri del sinedrio che decidono di arrestare Pietro e Giovanni (At 4,6). Sembra dunque che sia Anna ad avere maggiore influenza durante il processo intentato contro Gesù.
14Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».
Caifa viene ricordato per quanto aveva detto ai membri del sinedrio dopo la risurrezione di Lazzaro (11,50): era più conveniente che morisse un uomo solo piuttosto che rischiare di far perire l'intera nazione. Questa citazione ci ricorda che la sentenza capitale di Gesù era già stata pronunciata e inquadra il senso della morte di Gesù: egli doveva morire per la nazione e per radunare in uno i figli di Dio dispersi (11,52). Ma se Caifa ha potuto essere profeta a propria insaputa è grazie a un dono che gli era stato accordato in quanto sommo sacerdote di quell'anno.
15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote.
Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo verbo seguire è il senso tradizionale della sequela del discepolo. E' questo uno dei termini cari a Giovanni. Dopo il fallimento del tentativo di difendere il Maestro, che lasciandosi arrestare ha accettato il calice che il Padre gli presentava, Simon Pietro si arrischia a seguire Gesù là dove viene condotto, nel palazzo del Sommo Sacerdote: spera forse di vedere (come dice Mt 26,58) "come sarebbe andata a finire". Insieme a lui c'è un altro discepolo che conosceva il sommo sacerdote ed entra con Gesù. Questo personaggio viene comunemente identificato con Giovanni, il discepolo che Gesù amava.
16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro.
Evidentemente nella comunità giovannea il discepolo che Gesù amava aveva più importanza di Pietro. Qui è grazie alla sua influenza che anche Pietro può entrare nel cortile della casa del sommo sacerdote.
17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.
La giovane portinaia gli chiede subito se non fosse uno dei suoi discepoli. La domanda è ovvia, visto che è stato introdotto dal discepolo conosciuto dal sommo sacerdote. Pietro rinnega Gesù per la prima volta. Egli poi non potendo fare altro, si mette accanto al fuoco con le guardie. Nel mese di marzo in Palestina le notti possono essere fredde, quindi è plausibile ci fosse il fuoco. Pietro però rimane in piedi attorno al fuoco, non si siede, come è annotato nei Sinottici.
19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento.
Questo incontro tra Gesù e Anna non può essere chiamato processo. L'imputato era ancora legato. Di norma dovevano essere ascoltati i testimoni, ma qui erano assenti, come assenti i membri del sinedrio. Tutto avviene come se Anna, con le sue guardie fosse solo davanti a Gesù. Le sue domande sono generali, sembrano formulate solo per introdurre la risposta di Gesù. Egli si informa sui suoi discepoli e il suo insegnamento. Davanti al numero crescente di coloro che seguivano Gesù di Nazaret i farisei si erano allarmati. Stava nascendo una nuova setta?
20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto.
La risposta di Gesù è bipartita. La rivelazione ha avuto luogo. Il verbo parlare è usato qui nel suo senso forte. Gesù, come JHWH ha parlato apertamente non in un luogo oscuro (cf. Is 45,19). Ha insegnato dove i giudei si radunano, nella sinagoga e nel tempio, i luoghi di preghiera in cui l'israelita alla ricerca di Dio più facilmente lo incontra. Egli si era manifestato come l'inviato di Dio.
Ciò che il Padre aveva ordinato di dire era stato proclamato nella città santa: come avrebbe potuto ignorarlo il responsabile della comunità giudaica, se non perché non lo aveva ascoltato?
21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto».
Ecco dunque la seconda parte della risposta di Gesù. Le parti si rovesciano, è lui che chiede ad Anna "Perché mi interroghi?". Indirettamente, egli denuncia l'ipocrisia della domanda e il rifiuto di ascoltare. Ci sono però coloro che hanno ascoltato e hanno accolto la sua parola.
22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?».
Viene riportato qui un elemento della tradizione sinottica, i maltrattamenti inflitti a Gesù in occasione del giudizio nel sinedrio. Questo maltrattamento però ha uno scopo diverso, Gesù avrebbe mancato di rispetto a un responsabile del suo popolo (vietato dalla Legge Es 22,27).
23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?».
Nei sinottici Gesù mantiene il silenzio sotto gli oltraggi, come il Servo di JHWH (Is 53,7), qui egli reagisce. Propone un'alternativa che mette la guardia dalla parte del torto. Gesù non ha parlato male perché ha portato una testimonianza sula propria precedente attività, invitando a procedere a un'inchiesta approfondita. Gesù rimane fermo nella sua testimonianza.
24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.
Il racconto non prolunga il colloquio; non replicano né il sommo sacerdote né la guardia. Gesù ha dunque l'ultima parola. Ma il silenzio di Anna e il fatto che egli mandi a Caifa il prigioniero, sempre legato, confermano la sentenza già emessa. La violenza degli uomini sembra trionfare; Gesù entra nella Passione dove Dio tace, in attesa di glorificare il Figlio. L'incontro con il sommo sacerdote ha per Giovanni lo scopo di attestare solennemente la sua missione di Rivelatore. Tale missione è ormai compiuta. Gesù non rivelerà più con le parole, ma con i fatti, la sua passione, dimostrerà il legame perfetto che lo unisce al Padre.
25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono».
La narrazione torna fuori, nel cortile del sommo sacerdote. Le tre negazioni di Pietro si succedono in uno stesso periodo di tempo, anche se la prima viene isolata dalle altre nell'intreccio della narrazione. Le guardie pongono a Pietro la stessa domanda della portinaia. La loro domanda è dubitativa. Mentre nei sinottici le risposte di Pietro sottolineano di "non conoscere" l'uomo di cui si parla e sono intercalate da giuramenti e da imprecazioni, a Giovanni basta una negazione netta "non lo sono". Si nota subito la negazione di quel "Sono io" di Gv 18,5, nel giardino in cui Gesù è stato arrestato. Il collegamento è rafforzato dal ricordo del servo Malco.
26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?».
Il parente del servo che Pietro aveva ferito (Malco) invece vale come testimone oculare, egli l'aveva visto nell'orto degli Ulivi. L'effetto drammatico sta crescendo.
27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.
L'ultima risposta di Pietro raccontata in modo asciutto e in modo altrettanto asciutto Giovanni annota che un gallo cantò. Mentre i Sinottici dipingono Pietro che impreca e non sa come divincolarsi. Giovanni isola il fatto nudo. Nulla viene ad attenuare la triplice negazione con la quale il discepolo ha sconfessato la propria appartenenza a Cristo. La sorte di Pietro sarà definita solo nel capitolo 21, quando il discepolo rattristato risponderà con fiducia alla triplice domanda del Risorto "Simone, mi ami?".
Meditatio
- Mi sono mai sentito offeso da domande vuote come quelle che il sommo sacerdote ha fatto a Gesù?
- Mi è capitato di rinnegare la mia fede nel momento in cui questa diventava scomoda?
- Davanti a quali situazioni ho detto "Sono io" con coraggio?
Preghiamo
(Orazione per la funzione del Venerdì Santo)
O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell'antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l'immagine dell'uomo terreno, così per l'azione del tuo Spirito, fa' che portiamo l'immagine dell'uomo celeste. Per Cristo nostro Signore.