Commento su Rm 12, 9-10 e Lc 1, 46-48
«Fratelli, la carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda...»
Rm 12, 9-10
«L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva...»
Lc 1, 46-48
Come vivere questa Parola?
Maria, nella Visitazione alla cugina Elisabetta, c'insegna l'accoglienza a Dio ed ai fratelli. Anzitutto ad accogliere Dio. Non è facile accogliere veramente il Signore nel nostro cuore, come ha fatto Maria. Talvolta noi accogliamo Dio come un venditore ambulante che offre i suoi prodotti. Lo lasciamo sulla soglia di casa, appena sulla porta. Gli chiediamo che cosa ci ha portato di buono, quale grazia ci offre e ci mettiamo d'accordo per ottenere quello che c'interessa in quel momento. Accogliere Dio come ha fatto Maria, significa farlo entrare completamente in casa nostra dandogli il primo posto, metterlo al centro della nostra vita, con gioia, cantando il Magnificat per le meraviglie da Lui operate. Vuol dire dargli pienamente spazio, anche quando Lui scombina i nostri piani e manda in crisi i nostri progetti e le nostre certezze. Così Maria ha accolto il Signore nella sua vita, non per servirsene, ma per consegnarsi totalmente al suo servizio e cantare a Lui il Magnificat con tutta la sua esistenza.
In secondo luogo Maria c'insegna anche ad accogliere i nostri fratelli. É la prima lettura di S. Paolo ai Romani dell'odierna liturgia che c'invita a farlo. Essa costituisce una vera summa della vita di comunità: «Fratelli, la carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda...». È tutto un invito appassionato alla reciprocità dell'amore fraterno in Cristo! Per accogliere il fratello bisogna uscire da sé. Maria esce da sé, anche fisicamente, esce dalla sua casa, si mette in cammino «in fretta», per andare incontro ad Elisabetta. Accogliere i nostri fratelli in comunità è sempre un accogliere ciò che Dio opera in loro, è accogliere la loro vera identità nella loro vocazione divina. Ciò richiede un impegno difficile per uscire da noi stessi e dilatare gli spazi della fede e della carità, per non rinchiudere il nostro sguardo nei limiti ristretti del nostro egoismo, ma allargarlo alle dimensioni di Dio, ben più ampie del nostro modo di pensare gretto ed angusto. Allora ci rendiamo conto che accogliere Dio e accogliere i fratelli si condizionano a vicenda: stanno o cadono insieme. Noi riusciamo ad accogliere i fratelli soltanto se ci apriamo a Dio, se gli facciamo spazio, ma anche se siamo disposti ad accoglierlo negli altri, a riconoscere il disegno di Dio che si compie in loro, a riconoscere la sua voce che ci viene dal fratello. Se rimaniamo chiusi in noi stessi, se non usciamo di casa, come Maria, per andare incontro all'altro, possiamo anche illuderci di essere in rapporto con Dio, di accoglierlo, mentre in realtà i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni egoistiche c'impediscono di aprirci agli altri, di vedere nell'altro l'azione di Dio e, in definitiva, di accogliere veramente il Signore.
La voce di Papa Francesco
"È proprio la Madonna che porta le gioie. La Chiesa la chiama "causa della nostra gioia". Perché? Perché porta la gioia nostra più grande, porta Gesù. E portando Gesù fa sì che questo bambino sussulti nel grembo della madre. Dobbiamo pregare la Madonna perché portando Gesù ci dia la grazia della gioia, della libertà, ci dia la gioia di lodare sempre"
Papa Francesco, dall'omelia del 31 maggio 2013
Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it
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