Omelia (15-08-2017)
don Luciano Cantini
Un segno grandioso

Un segno

Un segno non è una realtà, ma una rappresentazione di essa, un segno chiede di essere letto, interpretato, decodificato, compreso. Qui è la prima volta che l'autore dell'Apocalisse usa l'espressione segno, e lo chiama grandioso, che appare nel cielo: il luogo che nell'immaginario collettivo è abitazione di Dio. L'immagine è quella di una donna che, nella scia dell'Antico Testamento, immediatamente richiama l'idea della sposa e della madre, ma più ancora quella della Alleanza tra Dio e il suo popolo tante volte raccontata come evento nuziale. La donna è vestita di sole, è avvolta dalla Potenza di Dio come il popolo d'Israele è avvolto dall'Amore di Dio; la luna, immagine del mutare del tempo è sotto i suoi piedi perché il tempo è pienamente posseduto ed è al di sopra della mutevolezza della storia. Sul capo, una corona di dodici stelle: la corona è espressione della vittoria raggiunta, il numero dodici richiama le tribù d'Israele e contemporaneamente il collegio apostolico, il popolo dell'antico testamento e la Chiesa nel nuovo. Era incinta, espressione massima della fecondità, ma anche impegnata nel travaglio del parto, perché tutto non è ancora compiuto. L'immagine non si lascia contemplare nella staticità, piuttosto chiede di entrare nella dinamica travagliata di una nuova nascita.

La Chiesa, in questo segno rivelatorio, vede se stessa: avvolta dall'amore di Dio, già nella pienezza della eternità, nella pienezza della fecondità, impegnata nella sofferenza del parto.


Un altro segno

Al segno grandioso si contrappone un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso. La dinamica dell'immagine si fa ancora più forte per la simbologia in atto che per le azioni che si sviluppano. Il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata (Ap 12,9) è rappresentato con i segni dei poteri umani, le teste coronate e i corni, la sua forza è tremenda perché la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra; il potere del male si moltiplica e si diffonde nella storia degli uomini. Nell'immagine la malvagità demoniaca, l'intreccio coi poteri umani, la mostruosità della storia sembra mettere a repentaglio la fecondità della donna.


Essa partorì

L'immagine cede i toni della drammaticità e della tragedia annunciata, la donna partorisce un figlio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro. È il Cristo nella sua realtà finale, seduto sul suo trono alla destra del Padre. È il Cristo che nasce dalla Chiesa. La comunità cristiana che, attraverso gli occhi di Giovanni, ha questa visione comprende bene quali siano le doglie e il travaglio nel generare il Cristo per le generazioni future, il rischio che tutto l'impegno e le fatiche siano fagocitate dal male precipitato sulla terra. Anche Paolo scrive ai Galati io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! (4,19).

Vivere l'esperienza cristiana non è senza rischio né senza travaglio.


Nel deserto

Il deserto, nella bibbia, è luogo della prova, ma anche della maturazione, il luogo faticoso in cui Israele scopre l'amore di Dio. La comunità cristiana vive il suo deserto, nella costante verifica di se stessa e nell'affinarsi nel comprendere l'amore del Padre.


La donna

Nel Vangelo di Giovanni Gesù chiama sua madre donna nella prospettiva della sua ora ancora da venire (cfr. Gv2,4), sotto la croce se ne ha il senso (cfr. Gv 19,26) e trova la prospettiva nella Chiesa. In Maria la Chiesa scopre l'immagine di se stessa, nel brano dell'Apocalisse ne scopre la portata, la profondità di senso, la fatica nell'impegno di generare e portare Cristo nella storia degli uomini.