Commento su Mc 8,27-35
Collocazione del brano
La nostra lettura di Marco ci porta alla seconda metà del capitolo 8. Protagonisti sono i discepoli di Gesù che con lui sono in viaggio verso Gerusalemme. Questo brano è considerato il culmine del vangelo di Marco, il crinale. Qui Gesù viene riconosciuto da Pietro come il Cristo, il messia atteso. Ora che i discepoli hanno capito questo, Gesù può cominciare ad annunciare loro il futuro che lo aspetta: la passione e la morte. Pietro non sa accogliere questo annuncio e dà a Gesù l'occasione di un insegnamento su cosa significhi seguirlo.
Lectio
In quel tempo, 27Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: "La gente, chi dice che io sia?".
Con i suoi discepoli Gesù parte da Betsaida (8,22) e si dirige verso nord. Cesarea di Filippo si chiamava anticamente Panion, poiché vi si trovava un tempio dedicato al Dio Pan. Ai tempi di Gesù era stata ampliata dal tetrarca Filippo e le era stato dato il nome di Cesarea in onore di Augusto. Si trovava ai piedi dell'Hermon, alle sorgenti del Giordano. La città si trovava sul confine tra i giudei e i pagani. Questo è un punto lontanissimo da Gerusalemme, sembra Gesù lo abbia appositamente scelto per cominciare a parlare della sua passione.
Dunque a Cesarea Gesù chiede informazioni sul proprio conto.
28Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti".
I discepoli citano le opinioni della gente, che conosciamo già da 6,14, che introduce la morte di Giovanni il Battista. La gente diceva infatti che Gesù fosse il Battista ritornato dai morti e che per questo motivo compiva miracoli. Altri pensavano a Elia oppure Mosé, o Enoch, tutti personaggi scomparsi in circostanze misteriose, il cui cadavere non è stato più ritrovato e che secondo la tradizione sarebbero ritornati sulla terra in prossimità degli ultimi tempi. Il fatto che i discepoli parlino in generale di uno dei profeti identifica Gesù semplicemente come uno che parla in nome di Dio, come i profeti del passato.
29Ed egli domandava loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo".
Gesù chiede poi ai discepoli chi pensino che egli sia. Risponde Pietro come portavoce del gruppo dei discepoli e pronuncia la professione di fede in Cristo. Davanti alle diverse opinioni della gente, Gesù in quanto Cristo, è una personalità profetica che inaugura il tempo della salvezza. Mentre nel giudaismo il Messia davidico era stato spesso definito "l'Unto del Signore" o "il Messia di Israele" qui il Cristo si trova in forma assoluta. Molto probabilmente si riporta qui un articolo di fede cristiana. Se dietro all'identificazione Gesù-Battista si può intravedere la morte e il suo presunto destino di risurrezione, la professione di fede di Pietro si colloca vicino alla fede pasquale cristiana che si contrappone all'interpretazione del destino del Battezzatore.
30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
L'ordine di tacere, che è rivolto a tutti i discepoli, non svaluta la professione di fede nel Cristo. Con questo si rimanda all'evento della croce, nel quale la messianità di Gesù conoscerà la sua spiegazione vera. Tale spiegazione comincerà con l'annuncio della passione.
31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
L'annuncio è introdotto come insegnamento rivolto al gruppo dei discepoli. Al destino di sofferenza e di morte del Figlio dell'uomo è dedicato spazio maggiore che alla sua vittoria. Questa però è collocata al termine del suo cammino. L'essere ucciso era la sorte speciale dei profeti; anche in altri contesti del Nuovo Testamento il destino di Gesù viene paragonato a quella sorte. C'0è però una novità: la risurrezione, che non ha nessun prototipo nel destino del giusto. Non va vista come atto di Dio compiuto su Gesù, ma come atto di potenza del Figlio dell'uomo che vince la morte per forza propria. Il dopo tre giorni si rifà all'esperienza dell'AT: dopo tre giorni il giusto (o Israele) viene salvato.
32Faceva questo discorso apertamente.
Gesù parla apertamente, con franchezza. Anche in altri passi di Marco si ricorda questa franchezza. Qui comincia a parlare di passione e risurrezione. I discepoli, che un giorno dovranno diffondere il vangelo, devono scorgere in Gesù la sorgente della parola che bisogna portare agli altri.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: "Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
In questo breve episodio Pietro torna in primo piano. Poco prima aveva riconosciuto Gesù come il Cristo, adesso l'idea della passione lo spinge alla protesta. Ma Gesù che ha già intrapreso con decisione la strada di Gerusalemme si volta verso i discepoli e Pietro. Dice: dietro di me! Siete voi che dovete seguire me e non io voi. Il fatto che chiami Pietro Satana indica che quella di Pietro è una tentazione pericolosa. Il Figlio dell'uomo non può più essere distolto dal suo cammino. Satana non solo si oppone, ma distorce la verità e dice la menzogna. Il pericolo più grave per i discepoli è rifiutare il Crocifisso.
34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Questi due versetti appartengono a una nuova sezione di Marco che contiene alcune affermazioni importanti di Gesù riguardanti la sequela. Il loro accostamento all'episodio di Cesarea di Filippo è piuttosto rudimentale. Il collegamento è esplicito: la sequela di Cristo richiede alcune caratteristiche irriducibili. Dopo la protesta di Pietro i discepoli sono stati posti di fronte a una decisione nuova. Chi si decide per la sequela deve rispondere a due esigenze precise. La prima è rinnegare se stessi, rinunciare a se stessi, porre l'esistenza del discepolo al di sopra dei propri desideri e dei propri progetti. La seconda è la disponibilità ad accettare la croce. Questo rende coscienti i discepoli della serietà della loro appartenenza a Gesù. Il supplizio della croce (con tutti i suoi corollari) era già tristemente noto in Palestina e l'espressione non lasciava il campo a dubbi.
35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Segue qui un detto sapienziale paradossale. La vita da ora in poi dipende dall'adesione o meno a Gesù. La vita che si salva in questo caso è la psyche, non la vita terrena, ma quella che oltrepassa ogni limite e che è dono di Dio.
Meditiamo
- Chi è per te Gesù?
- Perché era necessaria la croce per il compimento della sua missione?
- Stai seguendo davvero Gesù?
- Cosa significa per te perdere la propria vita per causa di Gesù e del Vangelo?
Preghiamo
O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla. Per il nostro Signore Gesù Cristo...