Commento su Gv 15,1-8
Collocazione del brano
Il capitolo 15 (di cui domenica prossima leggeremo il seguito) è uno dei discorsi di addio che Gesù avrebbe pronunciato la sera dell'ultima cena, prima del suo arresto, e che occupano i capitoli 13-17. La prima parte del capitolo 15 (1-17) sottolinea l'importanza di aderire a Cristo e di formare una comunità compatta i cui membri si amano vicendevolmente. La seconda parte (da 15,18 fino a 16,3) parla di persecuzioni provenienti dall'esterno, alle quali la comunità potrà resistere grazie all'aiuto del Paraclito.
In questo primo brano Gesù utilizza il paragone della vite e dei tralci per esortare i suoi discepoli a rimanergli fedeli. La vite è un vegetale molto comune, diciamo pure caratteristico della Palestina (insieme all'ulivo e al fico). La vigna piantata da Noè sfuggito al diluvio segna l'inizio di un'era nuova. Con il Cantico dei Cantici la vigna è simbolo della sposa. Di conseguenza indicherà Israele, la sposa del Signore, che molto spesso però si dimostra infedele. Così il paragone sarà utilizzato da Osea, Geremia e Isaia, nei Salmi.
Qui Giovanni introduce un cambio di prospettiva. La vigna non è più il popolo, ma Gesù stesso. O meglio, il popolo di Dio continua ad essere la vigna, ma in stretta relazione al Figlio di Dio.
Lectio
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore.
Gesù si identifica con la vite di cui parlavano i profeti, piantata da Dio e oggetto del suo amore, cioè Israele, la comunità dell'Alleanza. Aggiungendo l'aggettivo vera, Gesù sottolinea che in lui si compiono le promesse di Dio a Israele. Dopo ripetuti richiami di Dio al suo popolo e i suoi continui fallimenti, ecco che il Figlio realizza nella propria persona ciò che Dio voleva dall'umanità, che rimanesse vite pregiata, che desse frutto. Il Padre diventa qui l'agricoltore, colui che si prende cura personalmente della vigna perché porti un frutto sempre più abbondante. Così viene meglio caratterizzata la relazione personale richiesta dall'Alleanza.
2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
In questo versetto vediamo il vignaiolo al lavoro. A marzo/aprile si tagliavano i rami infruttuosi e poi, in estate (agosto), si potavano, o mondavano i germogli superflui. Gesù precisa: il tralcio che in me... i tralci hanno esistenza soltanto nella vita e la vita è Gesù, c'è la necessità di rimanere uniti. I verbi tagliare e potare descrivono le attività del vignaiolo che condizionano la fecondità della pianta. Non esageriamo sul dare un significato allegorico a questo potare e tagliare, la cosa che più conta è questo lavoro instancabile del vignaiolo perché la vigna dia un frutto abbondante. Il portare frutto è uno dei motivi ricorrenti di tutto il brano.
3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Collegandosi alla potatura dei tralci da parte del Padre vignaiolo, Gesù assicura ai discepoli che essi sono già puri, o meglio, purificati potati, innestati nella vite. Sono quindi adatti per principio a portare frutto. La potatura era opera del Padre, ma qui è stata realizzata dal Figlio mediante la parola che ha annunciato.
4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.
Grazie alla Parola che li ha potati, i discepoli possono portare frutto. Ora dipende da loro mantenersi uniti a Cristo. Ecco perché Gesù li esorta a rimanere in Lui. Questa esortazione a rimanere la troviamo anche nella 1 Giovanni, la prima lettura di questa 5a domenica di Pasqua. C'è una unità all'interno della vite che va necessariamente mantenuta attraverso la reciprocità (voi in me e io in voi). Il paragone del tralcio chiarisce il perché dell'imperativo rimanete. L'immagine del tralcio viene forzata, non si sono mai visti tralci liberi di rimanere o no nella vita; tuttavia in questo modo si fa evidente la necessità per i discepoli di rimanere in Gesù per poter portare frutto.
5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Gesù ripete qui il suo essere la vite. In questo caso però è in relazione ai tralci cioè ai discepoli, mentre prima riguardava il vignaiolo, cioè il Padre. Nel rimanere nella vite i tralci trovano la loro vera identità. I discepoli che rimangono in Cristo sono a sua immagine, come Adamo. Unito a Cristo nella vite il tralcio può collaborare alla produzione del frutto. Senza di lui non può fare nulla, questa affermazione ricorda il Prologo di Giovanni (1,3). Se il discepolo accoglie in sé l'attività di Gesù, permette all'Amore, espansivo di sua natura, di suscitare la vita.
6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Secondo uno stile semitico si passa ora alle affermazioni contrarie. Il tralcio che non rimane unito alla vite viene gettato. Il principe di questo mondo viene gettato fuori (Gv 12,31). Il fuoco di cui si parla non è quello dell'inferno, ma esprime in modo vivido la morte di colui che non rimane in Cristo. Non c'è scampo: o si rimane uniti a Cristo o non si serve a niente. Questi versetti 4-6 sono nati in una Chiesa che ha fatto l'esperienza della propria appartenenza a Cristo ma anche della propria fragilità. C'è il rischio di non perseverare nella fede. La comunità di Giovanni era sottoposta a forti pressioni da parte della Sinagoga. I tralci che si staccano allora sono i cristiani di origine giudaica che ritornavano alla loro antica fede. Questo discorso però ovviamente riguarda i cristiani di tutti i tempi.
7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Ora il rimanere riguarda le parole di Gesù. Le sue parole devono rimanere in noi, cioè dobbiamo ascoltare, meditare, mantenere nel nostro cuore ciò che Lui dice. Questa è una garanzia per rimanere nella comunione con Dio e la promessa per essere esauditi nella propria preghiera. Il passivo vi sarà fatto è un passivo divino. E' Dio che compirà per noi ciò che gli chiediamo.
Non solo si instaura questa reciprocità, ma essa diventa per il Padre un motivo di gloria. La richiesta riguarda certo il portare frutto e il restare in questa situazione di sequela, di comunione grande con il Padre e il Figlio.
Meditatio
- Cosa ha significato nella mia vita di fede rimanere nella vite?
- Qual è il frutto che Gesù si attende dai suoi discepoli e da noi?
- Ho fatto questa esperienza di sentirmi legato alla vite e di avere fatto frutto?
Preghiamo
(Orazione della V domenica di Pasqua anno B)
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché amandoci gli uni agli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace. Per il nostro Signore...