Omelia (01-11-2017)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Ottavio de Bertolis

"Ecco le schiere del trionfo di Cristo", esclama Dante nel suo poema quando contempla l'immensa assemblea degli eletti, la "candida rosa" dei santi; e queste sue parole possono aiutarci nella contemplazione delle immagini che la Liturgia di oggi ci propone. L'Apocalisse, un libro fatto più di visioni o immagini, appunto, che non di concetti, ci mostra coloro che "sono passati attraverso la grande tribolazione" della loro storia, e "hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello": non sono uomini e donne esemplari, nel senso che non hanno mai conosciuto il peccato, le contraddizioni, le ambiguità che covano più o meno nascoste nella vita di ognuno, ma hanno conosciuto e confidato in Colui che li ha amati fino alla fine, l'Agnello immolato, il Crocifisso, che "ha portato su di sé le nostre colpe", "estinguendo in se stesso l'inimicizia", ed è "vittima di espiazione, non solo per i nostri peccati, ma per quelli di tutto il mondo". Sono in piedi, "ritti davanti al trono di Dio": è la posizione del Risorto, del quale condividono la vittoria dopo avere condiviso la vita, le fatiche, la sofferenza e la morte. Con le parole di Sant'Ignazio, "hanno scelto e desiderato per sé quel che Cristo ha per sé scelto e desiderato", la povertà contro la ricchezza, la mitezza contro l'arroganza, l'umiltà contro la spocchia e l'arroganza.
Questi viventi non sono come gli eroi del mondo classico, non sono superuomini; se li interrogassimo sul perché della loro bellezza, ci direbbero semplicemente "quale grande amore ci ha donato il Padre", e quell'amore è Cristo, nel quale noi e loro ugualmente crediamo. Hanno ricevuto lo stesso pane eucaristico che noi riceviamo, sono stati bagnati dalle acque dello stesso battesimo, hanno ascoltato la medesima Parola, si sono abbeverati allo stesso Spirito: a noi non manca niente per essere come loro, ed infatti la solennità di oggi ci fa contemplare anche i santi più quotidiani, quelli che non hanno avuto canonizzazione, ma che noi ricordiamo.
Ricordiamo oggi le persone buone, miti, capaci di perdonare, dal cuore puro e capace di vedere Dio, di incontrarlo e di parlargli, uomini e donne capaci di misericordia, cioè di coprire con l'amore che ricevevano da Dio le ferite e le brutture che incontravano in se stessi prima, e negli altri poi; infatti "noi amiamo, perché lui ci ha amato per primo", e noi possiamo essere misericordiosi tanto quanto abbiamo conosciuto in noi stessi la misericordia fatta carne, l'Agnello immolato, il Cuore di Cristo. Riconosciamo i santi che sono ancora in questo mondo in tutti quelli che operano per la giustizia del Regno, cioè hanno fame e sete di quella giustizia che non è solamente una più equa distribuzione dei beni del mondo, cioè degli altri, ma che consiste nel volere condividere i propri beni personali, divenendo così più poveri per imitare più da vicino Cristo sommamente amato.
Mi piace riascoltare il loro canto di adorazione: "Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen". Ciò che differenzia i santi dagli altri è che in genere l'uomo cerca di vivere e agire in modo da ottenere lode per sé, gloria umana per sé, secondo la sapienza del mondo, per la quale l'uomo è un lupo per l'altro uomo; noi desideriamo essere ringraziati per quel che facciamo o diciamo, vorremmo essere onorati per il bene che facciamo; siamo abituati a ricercare la potenza e la forza appunto in noi stessi, vivendo secondo la mentalità del mondo (che può allignare abbondantemente anche tra le persone di Chiesa) e perseguendo quel che il mondo ama e apprezza. Il loro cantico rivela che hanno cercato un'altra sapienza, quella di Gesù, che si riassume nell'umiliazione della croce, di portare lode e gloria a Dio, non a se stessi; infine che il loro onore, nel disonore che riservava loro il mondo, era appunto la croce, il mistero dell'amore di Cristo, e Lui era ed è sempre stato il segreto della forza e potenza che essi hanno dimostrato. Così Gesù dice a Paolo: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza si manifesta pienamente nella tua debolezza". Così i martiri non disprezzavano la vita, e avrebbero ancora tanto voluto vivere; ma hanno seguito l'Agnello dove li portava, condotti dalla dolce forza della sua Parola. Morti con Lui, vivono con Lui.
Se consideriamo i santi, vediamo quanto diversi possano essere, una galleria di personaggi ricca e varia quanto lo può essere la nostra umanità: ricchi e poveri, vivaci oppure tardi di intelletto, alcuni umanamente più simpatici o vivaci e altri più scontrosi o malinconici, alcuni capaci di grandi progetti e realizzazioni, altri molto meno geniali, o semplicemente più comuni. E si potrebbe continuare. Eppure per tutti c'è un minimo comune denominatore: l'amore.
L'amore di Dio, innanzi tutto, che essi hanno conosciuto e contemplato in Gesù Cristo; l'amore, che è la carità di Cristo effusa nei loro cuori per mezzo dello Spirito santo, cioè l'amore di Dio su di loro e che da loro poi si rifletteva sugli altri. Ma l'amore non vive senza il dolore: hanno tutti patito. E il motivo vero del loro dolore stava sempre, per un motivo o un altro, direttamente o indirettamente, in Gesù Cristo: in Gesù poco conosciuto, poco amato, in Gesù disprezzato o ferito nei suoi poveri, in Gesù svilito nel suo corpo mistico, che è la Chiesa. E perciò di loro si dice: "beati quelli che piangono, perché saranno consolati".