Omelia (02-11-2017) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Dopo la morte, tutto l'Amore In stretta relazione con l'argomento di cui alla Solennità di ieri (Tutti i Santi), siamo incitati adesso a riflettere ulteriormente sul fatto che gli onori degli altari non sono riservati ai soli personaggi che siamo abituati a vedere raffigurati o riprodotti nelle icone. Santi infatti possiamo esserlo tutti, perseguire la perfezione secondo il modello di Cristo è anzi vocazione universale e in questo obiettivo ci aiuta l'intervento di Dio con la sua grazia. Anche nella lotta contro le tentazioni, le debolezze e le imperfezioni, anche in occasione delle cadute nel peccato Dio ci sorregge e nella Chiesa ci offre i mezzi per conseguire la perfezione: la preghiera, la mortificazione dei sensi, la carità. Il tutto reso più certo e fruttuoso dalla certezza delle misericordia stessa del Signore. Nella misura in cui ci si industria in questa vita di corrispondere alla vocazione alla santità si ottiene il premio e ci attende una dimensione ultraterrena di gloria definitiva nella quale contempleremo tutti il volto di Dio, radiosi e trionfanti condivideremo la gloria piena e la felicità eterna con il Signore Risorto e fra di noi. Al termine di questo percorso di lotta e di perseveranza nel bene, di fatiche e di oppressioni, di rinnovata fiducia in Colui che, solo, può donarci il giusto premio e la giusta condecorazione, ci attende la gioia senza fine, l'esultanza riservata ai giusti, la pace definitiva che si chiama Paradiso. Attenzione: le raffigurazioni pittoriche e le grandi opere letterarie e artistiche ci hanno abituati ad averne un'idea spazio temporale in ordine di Cielo, di luoghi stratosferici in cui si passeggia pacifici fra le nubi accompagnati da figure angeliche e da essere areolati, ma in realtà i parametri terreni e le rappresentazioni non sono paragonabili all'eternità. In parole povere, il paradiso non è un luogo, ma una situazione indescrivibile di perenne gloria ed esultanza nella continua contemplazione del volto di Dio che sarà (come anche adesso dovrebbe essere) la nostra unica vera gioia, il nostro anelito raggiunto, la meta finalmente conseguita. Il paradiso, verso il quale siamo tutti diretti è la ragione della nostra speranza, il nostro orientamento mentre persistiamo negli eventi di questo mondo. Non che la vita umana presente non abbia valore o che non vi sia ragione di vivere su questa terra; non che dobbiamo considerare il nostro corpo e la nostra dimora terrena alla stregua di una prigione da cui liberarci in vista dell'eternità: la materia e la corporalità hanno la loro importanza anche a proposito dalla vita spirituale, come pure la vita umana adopera nel corpo il "cavallo di battaglia dello spirito" ed è possibile trovare conciliabilità fra le due realtà concomitanti. Tuttavia, come osserva Paolo, "la nostra patria è nei cieli"(Fil 3, 20) e mentre affrontiamo la vicenda terrena la certezza stessa del paradiso ultraterreno ci sospinge eci motiva costantemente nella speranza e nella certezza che saremo esauditi in ciò che fondamentalmente desideriamo. In Dio non soltanto abbiamo la certezza dell'aspettativa del paradiso, ma siamo rassicurati di essere tutti orientati verso questa realtà di gloria: siamo destinati tutti alla vita di gioia senza fine purché in questa vita ci sforziamo nell'esercizio della virtù e nel conseguimento della santità, esercitando la fede, la cui meta è appunto la salvezza delle anime (1Pt 1, 9) e la carità che è la nostra stessa fede in atto, nella continua conformità a Cristo nostro modello di perfezione. E' vero d'altra parte che accanto al paradiso esiste necessariamente una realtà triste nella quale per loro scelta precipitano coloro che rifiutano categoricamente la grazia e la salvezza di Dio: quella della retribuzione dell'empio, l'inferno destinato a quanti avranno scelto l'empietà e la lontananza da Dio. Si tratta di una dimensione purtroppo esistente, della quale anticamente forse si parlava con eccessiva enfasi ed esagerazione suscitando soggezione nel popolo credente, ma che adesso al contrario poche volte viene menzionata nelle nostre catechesi e nelle predicazioni. L'esistenza dell'inferno, che non è un luogo fisico ma una dimensione di eterna dannazione, ha una realtà pari a quella del paradiso perché come esiste la salvezza, così deve necessariamente esistere la dannazione ultraterrena, la condanna definitiva. Essa ci ragguaglia della realtà di fatto che non sono pochi coloro che preferiscono vivere nel peccato, nella perversione, nel procurato allontanamento da Dio. Sono tanti coloro che si illudono di vivere già il loro presente autodistruggendosi e procacciando da se stessi la morte di cui il peccato è apportatore. Tanti sono coloro che ostentano già in questo mondo terreno la cultura dell'orrore, rendendosi latori di odio, di violenza, vizio, felicità effimere; tanti altri si danno alla smodatezza dei piaceri e del possesso, del guadagno illecito ai danni dei più deboli. Tanti altri promuovono il piacere effimero come bene indispensabile, l'immoralità come valore, l'irreligiosità e l'avversione al sacro come prospettiva di realizzazione. Cos'è tutto questo se non l'evidenza dell'inferno, latente già nella vita ordinaria attuale? Chi inesorabilmente si ostina a marciare contro la misericordia di Dio, illudendo se stesso e altri di false felicità che altro non sono che la rovina e la morte inconsapevole, vive l'inferno già nella vita presente; se ne troverà definitivamente immerso nella dimensione futura, quando la procurata lontananza da Dio diventerà motivo di eterna sofferenza irrevocabile. La dannazione eterna sarà la conferma definitiva della dannazione presente che ci si sarà voluti procurare. La rivelazione di Dio, che è tutta a favore dell'uomo, ci illustra che non è volontà del Padre misericordioso che alcun uomo si autodistrugga in questa vita per trovare la sua condanna in quella ultraterrena, ma piuttosto che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2, 4). Del resto la morte di Cristo sulla croce, che paga il riscatto delle nostre colpe, ci ha messi in grado di guadagnare la vita e ci risolleva il fatto che uno solo è morto per risollevare tutti dalla caduta peccaminosa. Dio è misericordia e ha la meglio anche sull'inferno. Che la misericordia di Dio poi non abbia limiti e che voglia ottenerci il conseguimento della gloria futura ci è reso certo da un'altra possibilità di salvarci anche al di la' della nostra vita terrena. La tradizione della Chiesa ci ragguaglia infatti di una dimensione nella quale sarà possibile purificarci dai residui di colpa che ci avranno caratterizzato in questa vita: anche lontani dal nostro corpo mortale, avremo possibilità di liberarci definitivamente da tutte quelle scorie che ci ostacolano l'ascesa verso la gloria, e questo costituisce un'ulteriore certezza che la volontà di Dio nei nostri confronti è davvero orientata verso il bene, visto che la pazienza divina attende anche oltre la nostra vita. Il "purgatorio" deve necessariamente esistere anch'esso visto che le imperfezioni umane sono davvero incompatibili con l'amore di Dio nei nostri confronti e che non sono sufficienti i nostri rimedi terreni per salvarci. La misericordia del Padre, la sua premura di salvarci ad ogni costo e la sua onnipotenza ineffabile fanno sì che le anime di coloro che lasciano questo mondo non ancora perfettamente purificate (in grazia di Dio ma con pene temporali da estinguere) abbiano ulteriore possibilità di mondarsi per poter accedere finalmente alla gloria definitiva. Il purgatorio non è un luogo intermedio, di sospensione fra inferno e paradiso, ma piuttosto una possibilità di proseguire il percorso di purificazione già cominciato nella vita terrena, una possibilità ulteriore di meritare la gloria che ci è data dall'intervento della grazia di Dio, non senza il concorso dei nostri meriti. In definitiva è la certezza che il paradiso comunque si raggiungerà. Cosa sperare per le anime dei nostri cari defunti, che oggi veneriamo nelle lapidi dei cimiteri? Certamente l'amore di Dio più volte da noi esaltato ci porta ad escludere che per essi si sia aperta la voragine dell'inferno eterno. Siamo convinti che eventuali peccati e imperfezioni siano stati superati dall'efficacia della misericordia divina alla quale (come ci siamo ripetuti più volte) non è impossibile amare e salvare fino in fondo. Possiamo certamente sperare che i nostri cari abbiano raggiunto già adesso la gioia paradisiaca e questo non sarebbe inverosimile. Ma considerando che il purgatorio è comunque una privilegiata occasione di salvezza, non è fuori luogo che preghiamo per loro, offriamo suffragi, sacrifici e buone azioni per sostenerli qualora si stiano ancora purificando per l'incontro definitivo con il Risorto. Associata alla visita al cimitero, la preghiera per i nostri cari ci procura di entrare in comunione con loro, di sentirceli vicini, di ravvivare il ricordo delle belle esperienze che con essi abbiamo vissuto mentre camminavamo con loro, di ringraziarli per la loro vicinanza comunque certa anche se misteriosa. E intanto ci offre l'occasione di aiutarli affinché speditamente estinguano residui eventuali di colpa per raggiungere l'immensità della vita piena in paradiso. L'appoggio più consono che possiamo dare loro consiste nell'orazione, nel supporto indubbio dell'Eucarestia in ogni Santa Messa che facciamo applicare in loro suffragio, perché Cristo stesso nel Sacramento agisca a loro vantaggio. Coefficiente di supporto per essi sono anche le opere concrete di carità verso terzi e qualsiasi atto di amore e di rinuncia a vantaggio dei poveri. Tale è la finalità della celebrazione odierna che è dedicata a tutti coloro che ci hanno preceduto nella dimensione ultraterrena: vivere la presenza dei nostri defunti nello spirito della preghiera animati dalla speranza della vita eterna. Oltre che dei nostri cari, la Chiesa si ricorda particolarmente di tutti quei defunti che abbiamo dimenticato o che solitamente trascuriamo nelle nostre orazioni abituali, ma che certamente Dio non ha abbandonato. Non saranno mai soli finché la Chiesa celebrerà questa Giornata di commemorazione per tutti. In particolar modo per essi ci premuriamo di vivere intensamente la nostra fede coltivando la speranza nella vita che si protrae al di là del nostro corpo mortale. |