Omelia (01-11-2017)
don Luca Garbinetto
Il santo, custode della nostalgia del cielo

Seduto sul monte, con accanto i suoi discepoli, Gesù guarda le folle. Deve essere stato uno sguardo di una tenerezza struggente. Dalle parole che seguono trasuda la commozione del Padre, che irrompe nel cuore del Figlio con una luce dirompente: quella del Paradiso! È lo Spirito che suggerisce. Mai come nelle beatitudini il Cielo e la terra manifestano l'incrocio del loro reciproco cercarsi.
Gesù vede la gente, la sua gente, che è tutta l'umanità, ed ha un sussulto di desiderio e di speranza: ‘oh come vorrei che foste già tutti così!', sembra voler dire, mentre annuncia il cammino della beatitudine. ‘Oh come vorrei che il fuoco fosse già acceso e consumato!'. Il fuoco della santità, che ci fa simili a Dio, l'unico veramente santo.
È proprio nell'incontro di desideri, o meglio del desiderio intimo, che abita il mistero della santità. Dio desidera incontrare l'uomo, e Gesù siede per poter conversare con lui, come tanto tempo addietro sotto le fronde del Giardino. E l'uomo, nella profondità di se stesso, desidera incontrare Dio, lasciarsi penetrare dal Suo sguardo. È nell'incompiutezza della propria persona che risiede la possibilità della santità, che coincide con l'opportunità data a Dio di dimorare e prendere possesso dello spazio di vuoto che ci fa creature e rende autentica la figliolanza.
I poveri, gli afflitti, ma anche i miti e i misericordiosi, come i puri di cuore, sono uomini e donne che lasciano emergere dai marosi della propria interiorità il grido più profondo e originale: non più o non soltanto il bisogno di una risposta immediata, bensì il desiderio che Qualcuno sia presente per sempre in quella costitutiva necessità. I beati sono esseri desideranti, che hanno saputo disfarsi delle brame superficiali o degli aneliti distratti, e vanno all'essenziale: ‘di Te, mio Dio, ho infinito desiderio'.
Gli operatori di pace, gli affamati e assettati di giustizia, i perseguitati per il Suo nome sono coloro che di questo desiderio hanno fatto il motivo della lotta. Perché non si tratta di una propensione all'altro serena e tranquilla. La vita stessa genera lo scontro e la tensione con il limite che è personale, ma anche storico e relazionale. Il desiderio di vivere in Dio, di lasciarlo vivere in noi per divenire Sua trasparenza, di intessere la relazione vitalizzante con la Sua presenza non è automatico e immune da tentazioni. La santità è la scelta consapevole e fedele di intraprendere la battaglia contro ogni forza che allontana o - peggio ancora - deforma e camuffa il volto autentico dell'Amato. ‘Voglio conoscere Te, mio Dio, per conoscere me in Te'.
E così, in questa dinamica di relazione, che scava dentro orizzonti inaspettati di bellezza, anche nel bel mezzo dei travagli della vita di ogni giorno - ben conosciuta da Dio: in fondo, il primo beato è Gesù di Nazareth -, la gioia che ne consegue diviene zampillo da non trattenere. Nessuna beatitudine è donata per un autocompiacimento. Non è il vanto della propria perfezione quello che un umile può portare al mondo, bensì la testimonianza di una pienezza che trabocca nello stile dei rapporti, nel modo di porsi, nei toni di voce, negli sguardi presi in prestito dal Signore. La beatitudine, la santità è contagiosa di suo. Chi ne è contagiato, o per lo meno scosso, se ne rende conto. All'interessato, invece, al beato e santo rimane il travaglio di continuare la lotta, e di sentirsi sempre un po' più mancante: non di perfezionismo, ma della Sua presenza, che già e ora vorrebbe totale e perenne. Del santo, dunque, immancabilmente missionario dell'Amore, colpisce soprattutto la incontenibile nostalgia del Paradiso. Nostalgia che profuma di Cielo, qui e ora, quanto di più semplice e ordinario egli è chiamato a vivere.