Omelia (02-11-2017) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura di don Marco Simeone Oggi non è la giornata del ricordo, anche perché sarebbe buffo ricordare chi ci ha amato una vita intera solo un giorno l'anno! Al massimo potrebbe essere la giornata della gratitudine, poiché ringraziare, che sempre diamo per scontato, è un processo più complesso e ci fa bene avere occasioni che ci ricordino di ringraziare. Oggi ci raduniamo intorno a Gesù che ci parla di vita eterna (Gv 6,37-40). Ieri abbiamo ricordato i santi, i capolavori di Dio, oggi i "nostri santi" quelli, cioè, che ci hanno amato, ci hanno guidato, hanno speso la vita per noi, ed anche quelli che hanno speso per noi un solo per un momento della loro esistenza; ieri abbiamo festeggiato quelli che sono già arrivati, oggi quelli che sono in viaggio: perché il nucleo è proprio capire che tutta la vita è un viaggio, che ha un punto di partenza e, soprattutto, un punto di arrivo che dà senso a tutto quello che c'è in mezzo. La vita eterna sta tutta qui (non sono le nuvolette della pubblicità!): la vita eterna si può scrivere anche come vita definitiva, completa. Questa vita inizia non quando si ferma il cuore, per cui tutta la vita del cristiano sarebbe un'infinita sala d'aspetto, inizia quando compiamo il primo gesto d'amore e per tutta l'esistenza terrena cresce (o dovrebbe crescere), come quando siamo nati e abbiamo fatto il primo respiro, qualcuno (il medico) ci ha aiutato e noi abbiamo iniziato la nostra vita autonoma; così oggi noi contempliamo l'infinito amore di Dio che da sempre ci ama, che ci ha amato per primo e così ci ha insegnato ad amare, che guida la nostra vita fino all'incontro totale con Lui. Perché questa è la vita e questa è la morte, il suo significato sta nell'incontro con Gesù Cristo, col suo amore, con la vita che Lui ci dona in maniera straordinaria. Per credere tutto questo l'unica prova è guardare Gesù, cosa ha fatto per noi, e qui ci aiuta S. Paolo che ci ricorda che la misura dell'amore di Dio non è il merito ma la sproporzione: quando non solo non lo meritavamo, ma addirittura eravamo nemici di Dio, lì abbiamo contemplato, toccato con mano e gustato che il Padre ci vuole così bene da mandare il Figlio, e il Figlio con gioia è venuto a compiere quest'opera di salvezza che si realizzava nel dare la sua vita, nel trasformare il frutto della nostra cattiveria nel dono per eccellenza da ridonare al Padre. Questo significa la "giustificazione" di cui San Paolo parla nelle lettere. Questo è il cuore di Dio, spiegato nel vangelo di oggi, dove Gesù illustra ai suoi il disegno del Padre di salvarci per mezzo suo... sempre se quell'amore che ci sta donando noi lo accogliamo. Nel "chiunque vede il Figlio" di Gesù possiamo pensare al serpente di bronzo, quello che nel deserto Mosè innalza per guarire tutti quelli che erano stati morsi dai serpenti velenosi (Num 21,4-9), e quindi pensare che chi guarda il Figlio dell'uomo trafitto e innalzato sulla croce, per amor nostro e per mano nostra, e crede che il Signore lo continua ad amare, volendo trasformare questo nostro cuore di pietra in un cuore di carne, chi crede che questa sia la vera immagine dell'amore del Padre, questi è già salvato, perché permette a Dio di trasformarlo dall'interno, in lui la vita eterna è iniziata! Oggi noi mettiamo nelle mani di Dio i nostri cari, esattamente come facciamo per il pane e per il vino in ogni messa, perché sappiamo che Lui gli vuole bene, certamente più di quanto gliene vogliamo noi (anche se siamo figli o, addirittura, genitori), e Gli chiediamo di compiere la trasformazione del loro cuore, che si lascino amare all'infinito per l'eternità intera. Noi oggi consacriamo un pezzetto del nostro cuore a quell'amore, quasi che potessimo prestarglielo, perché stiano più vicini a quella pienezza, questo è il significato della nostra intercessione. Se ci crediamo siamo già vivendo la vita eterna e in Cristo siamo vicino ai nostri cari: oggi è la giornata della gratitudine per i nostri cari per quello che hanno fatto per noi, ma soprattutto perché Gesù si è preso cura e si prende cura dei nostri cari, non ce li ha rubati, li ha portati alla pienezza. La comunità cristiana è quel popolo che cammina nella fiducia nel suo Signore e che ha nel suo dna offrire quanto ha di più prezioso a Dio Padre, sapendo che dietro l'angolo ci incontreremo e la nostra gioia sarà completa. Buon cammino |