Omelia (25-12-2017) |
Agenzia SIR |
Commento su Giovanni 1,1-18 Natale, festa di Bellezza, festa di nuova vita. Spoglia però di ogni rigurgito sentimentale o pietistico. Perché la realtà è quanto mai deludente e fuori dai nostri schemi rassicuranti. Posti nell'ottica corretta però si può fare propria la riflessione di Efrem, quando l'inizio dell'anno coincideva con la nascita di Gesù: "Quel giorno è simile a te; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino ch'è nato... Sa che la natura non potrebbe farne a meno; come te, esso viene in aiuto degli uomini in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita... Sia dunque anche quest'anno simile a te, porti la pace tra il cielo e la terra". La Parola da oggi abita la terra, vi fissa la sua tenda. Scuote la storia di allora, come la nostra di oggi. Vuole infatti diventare amico dell'uomo, di ogni uomo. Luce attesa a lungo, dai secoli, ora si rivela senza clamore. Bisogna quindi saperla cercare e vedere. Proprio in una stalla? Il rimbalzo per noi è evidente: potremmo ben capire dove cercarlo e trovarlo se il nostro linguaggio fosse quello dell'accoglienza, dell'aiuto, del porgere la mano. Ancor peggio, non solo in un luogo oscuro e misero come una stalla, ma anche in un neonato, fragile e bisognoso di ogni cura. I pastori non erano persone altolocate, provviste di grande lignaggio o di esorbitanti fortune. I poveri d'Israele erano decisamente disprezzati. Eppure sono i primi ad accorrere. Non è immediato chiederci chi siano i disprezzati di oggi? Magari sono i primi ad essersi mossi e noi stessi, nella nostra fissità, rimaniamo inerti, incapaci di vedere. Proprio dal neonato, proprio dai pastori si apre una nuova possibilità: giungere al cuore di ciascuno, vicino o lontano che sia. Esclusi o emarginati oggi debbono sapersi in festa, quella autentica che dona respiro e senso alla vita. Non negando la propria realtà di profugo, di immigrato, di vittima di guerre e di violenze, ma assumendo con realismo il proprio contesto e offrendolo al piccolo nato perché lo illumini con la Luce che non conosce tramonto perché alimentata dall'amore, che non conosce interruzione o sosta. Iscritto nel 754 anno di Roma all'anagrafe del potente regnante Imperatore, da un qualsiasi villaggio di provincia, il piccolo Gesù, nato a Betlemme, si sarebbe rivelato come il Messia, il Salvatore che illumina tutto il mondo. "Il giorno della tua nascita, o Signore, è un tesoro destinato a soddisfare il debito comune", afferma Efrem: quello dell'amore. Perché insondabile non significa che sia irrazionale o contro la ragione. Non si muove sulle corde del sentimentalismo ma dell'adesione di fede illuminata. Chiede la fatica del dono di sé. Solo allora può sgorgare, gioioso ma non banalmente commovente il grido di letizia di Gregorio di Nazanzio: "Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore!" Commento a cura di Cristiana Dobner |