Omelia (24-12-2017) |
dom Luigi Gioia |
Scomodati nella notte Siamo noi, in questa notte di Natale, il popolo incamminatosi nelle tenebre per rispondere alla convocazione del Signore. In chiesa normalmente ci andiamo la domenica, alla luce del giorno. Se per Natale vi andiamo nel cuore della notte è per accogliere la venuta del Signore come quella di una luce che illumina le nostre tenebre. Quando intoniamo Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama (cf. Lc 2,14), le nostre chiese si riempiono di luce, suonano le campane, siamo visitati da una gioia nuova. E' il momento nel quale - come dice la seconda lettura - appare per noi la grazia di Dio. Appare per noi -cioè si manifesta, si rende visibile - la grazia di Dio (Tt 2,11), il dono di Dio, la bellezza di Dio. Chiediamoci allora: cosa ci appare? Di quale dono si tratta? Quale bellezza vediamo? Quando la gloria di Dio appariva nell'Antico Testamento, c'erano lampi, tuoni, suono di tromba (Es 19,16). Chi vi assisteva nascondeva il volto, tremava di paura, come i pastori del vangelo. In questa notte invece la gloria di Dio appare in modo nuovo, inconsueto. Non si impone, ma va riconosciuta grazie ai tre indizi che ci offre il vangelo: un bambino in una mangiatoia, che è straniero e ed è povero (Lc 2,12ss). Il Signore della storia sembra qui in balia degli eventi. Un censimento obbliga i genitori di Gesù a lasciare la sicurezza di Nazareth per recarsi in un luogo straniero proprio nel momento in cui Maria deve partorire. Giuseppe e Maria appaiono come immigrati che suscitano sospetti, sono messi da parte, sono oggetto di pregiudizi: Da Nazareth può venire qualcosa di buono? (Gv 1,46) Sono afflitti da questa precarietà nel momento di più grande bisogno, proprio quando Maria deve partorire. Come può una tale disavventura manifestare la gloria, la grazia, la bellezza, il dono di Dio? Cominciamo a capirlo grazie ai tre indizi, cioè quando ci ritroviamo di fronte ad un bambino immobilizzato in fasce, in una mangiatoia, pronto a farsi cibo, offerto in dono per noi. Un bambino che, con i suoi genitori, si trova nella situazione di straniero. Infine, un bambino in una situazione di povertà. Abbiamo sentito parlare di questi eventi così spesso che siamo forse diventati insensibili allo scandalo che rappresentano: il luogo scelto da Dio per farsi uno di noi è stato quello dell'emarginazione e della povertà. Ha dovuto cercare riparo in una stalla perché il mondo non aveva posto per lui. Come capire allora le affermazioni Sulle sue spalle c'è il potere, e Grande sarà il suo potere? (Is 9,5-6) In che senso Dio ha ogni potere, è onnipotente? Il Natale ci rivela la natura autentica di questo potere: non schiaccia, non fa sentire il suo peso, ma conquista per mezzo della sua debolezza, perché ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,25). Il potere di questo bambino immobilizzato in fasce, deposto in una mangiatoia, straniero e nella povertà è tale che in che questa notte tutto il mondo celebra la sua nascita. Il potere di questo bambino è tale da far rinascere in noi la speranza, il desiderio di cambiare la nostra vita, di ritornare al Signore, di lasciarci riconciliare con lui (2Cor 5,20). Il suo potere è tale perché permettendoci di vedere il Signore rendersi così indifeso, muto, inerme, infrange il nostro idolo di Dio. Di fronte a un Dio che si fa piccolo in questo modo, non sappiamo, non possiamo, non vogliamo più resistere. Questo Dio-bambino ha sconvolto la storia, ci seduce, ci conquista, ci scomoda nel cuore della notte da duemila anni. Le braccia aperte con le quali questo Dio impotente ci accoglie sono quelle di un salvatore che vince non con la forza, ma con la persuasione, non con la violenza, ma con la dolcezza, non con la punizione, ma con il perdono e la misericordia - e che ci ripete: Non abbiate paura. Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo. Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,28-29). Questo Dio bambino ci rassicura: "Non abbiate paura di chi è in una situazione di povertà. Non abbiate paura dello straniero e dell'immigrato". In ogni epoca della storia, potenti spinte demagogiche si sono adoperate per esasperare preoccupazioni spesso legittime dirottandole su capri espiatori. Se non accogliamo lo straniero e l'immigrato ancora una volta rifiutiamo Dio, come nella notte in cui è nato e non ha trovato posto tra di noi. Ce lo dice Gesù stesso: ogni volta che avrete rifiutato il povero, l'immigrato, lo straniero, avete rifiutato me (Mt 25,40). Quale più bel augurio possiamo allora scambiarci gli uni gli altri in questa notte? Auguriamoci gli uni gli altri di non avere paura. Auguriamoci gli uni gli altri di dimorare in questa pace che il Signore viene a portarci nel cuore delle nostre povertà, delle nostre fragilità, delle nostre precarietà. Lì, in questo crogiuolo di insicurezza, viene il Signore Gesù, viene questo bambino e ci dice: non abbiate paura (Mt 14,27). Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui |