Omelia (01-01-2018)
dom Luigi Gioia
Veramente uno di noi

Come si possa ritenere una creatura umana madre di Dio non cessa di interrogarci. Tale appellativo sembra implicare una nascita, un inizio, mentre sappiamo che Dio è eterno, esiste da sempre, è l'esistenza stessa. Poi non si capisce come avverrebbe una tale generazione, che analogia dovremmo trovare in una tale immagine per la fecondazione. Più simbolicamente infine questo ripristinerebbe il mito delle dee madri che tanta parte ha svolto nella religiosità umana orientandola verso forme di simbiosi con la natura e di panteismo alle quali la spiritualità biblica si è sempre opposta con veemenza.
La comunità cristiana era cosciente di tutti questi rischi quando, non senza una certa audacia, proclamò questa verità durante il Concilio di Efeso, nel 431. Questa proclamazione non intendeva onorare Maria, ma faceva parte del lungo processo di discernimento riguardo alla vera identità di Gesù, al senso da dare all'affermazione del Credo che lo designa come Dio vero da Dio vero. Nei primi secoli del Cristianesimo, pur credendo alla divinità di Gesù, la maggior parte dei teologi non si spingevano fino a dichiararlo Dio esattamente come il Padre. Se il Figlio aveva potuto rendersi visibile, abitare tra noi, diventare uno di noi, doveva essere perché pur essendo Dio, era inferiore al Padre, subordinato a lui. Ecco perché questa tendenza (non una vera eresia) che fu chiamata subordinazionismo. Ci si rese conto della pericolosità di questa tendenza solo all'inizio del quarto secolo quando il teologo egiziano Ario ne trasse tutte le conseguenze e dichiarò che il monoteismo esigeva che il Figlio non potesse essere pienamente Dio e che vi era stato un tempo nel quale il Figlio non esisteva, cioè non era eterno come il Padre.
Questa asserzione innescò una reazione molto vivace e una lunghissima controversia, con il grande vescovo Atanasio come uno dei suoi principali protagonisti, nel corso della quale ci si rese conto che se Gesù non era veramente Dio e veramente uomo, se non era pienamente l'uno e l'altro, la salvezza non era completa, non era reale. Ci si accorse che proprio perché Dio è unico e che, come dice Giovanni, nessuno lo ha mai visto (Gv 1,18) e nessuno lo può vedere, solo Dio può farci conoscere Dio, solo il Dio Figlio può rivelarci il Dio Padre: Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo (Mt 11,27). Inoltre, se la salvezza consiste nel diventare figli di Dio, solo Dio può esserne l'artefice. Se Gesù non fosse stato veramente Dio, dunque, non saremmo diventati veramente figli di Dio- come invece lo afferma Paolo: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli (Gal 4,4-5).
Se questo era vero, allora ogni audacia è giustificata: in Gesù veramente Dio stesso è nato tra di noi, veramente è stato messo in croce, veramente ha sofferto e veramente è risorto. Il dettaglio relativo alla sofferenza di Dio era uno dei più controversi. Come può l'eterno Dio soffrire? Sembrava una negazione dell'idea stessa della divinità e questo principio non andava contraddetto. Lentamente dunque si capì che affermare l'impassibilità di Dio (cioè il fatto che non può soffrire) non solo non compromette la verità della sua incarnazione ma la nobilita. Infatti tutto è possibile a Dio: Dio poteva non soffrire, ma lo ha accettato perché lo ha scelto, lo ha voluto. Si capì che se Dio è veramente onnipotente, se può tutto, può anche accettare di soffrire.
Esattamente lo stesso discorso fu applicato all'incarnazione. Dio è al di sopra del tempo, è eterno, e se si è fatto uomo, se è entrato nella storia, è perché lo ha voluto, lo ha deciso. Quindi in Gesù, Dio è veramente nato da Maria e si può realmente affermare che, dando alla luce Gesù, Maria è diventata Madre del Dio fatto uomo. Se Maria non è madre di Dio, allora Dio non ha veramente sofferto per noi, non siamo davvero diventati figli di Dio e quindi la salvezza è solo apparente: questo è il discorso che soggiace al tema della solennità odierna.
Ponendo questa celebrazione dunque all'inizio dell'anno, e come parte del tempo di Natale, la liturgia ci invita ancora a contemplare le ramificazioni dell'incarnazione del Figlio, della sua nascita tra di noi. Possiamo gioiosamente riaffermare che veramente Dio si è reso Emanuele, "Dio con noi", e che se Dio è con noi non abbiamo nulla da temere: Se Dio stesso è per noi, chi sarà contro di noi (cf. Rm 8,31).
L'augurio allora che possiamo scambiarci all'inizio di questo nuovo anno è proprio questo: diventare ancora più consapevoli di fino a che punto Dio abbia scelto di farsi uno di noi, di schierarsi dalla nostra parte, di venire, giorno dopo giorno, a camminare con noi, condividendo le nostre gioie, consolandoci nei nostri momenti di difficoltà, guidandoci sul cammino che ci riconduce alla casa del Padre.

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui