Omelia (06-01-2018) |
dom Luigi Gioia |
Tutto nuovamente chiamato a celebrare Uno degli aspetti più caratteristici della religione ebraica confluita nel cristianesimo è la sua tensione costante tra particolarismo e universalità: da una parte essa sembra riguardare persone specifiche, famiglie, tribù e avere come protagonista uno dei più piccoli popoli della terra; dall'altra parte però è profondamente consapevole di possedere una vocazione universale. Ciò appare fin dall'inizio della storia della salvezza con la chiamata di Abramo. Apparentemente si tratta soltanto della storia della relazione tra il Signore e un personaggio che la storia avrebbe senza dubbio dimenticato, ma rapidamente si rivela parte di un disegno inimmaginabile quando Dio promette ad Abramo: Io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra (Gn 22,17-18). Se Dio sembrava dunque fare preferenze per una persona e per un popolo, in realtà il suo scopo era di raggiungere attraverso di essi tutte le nazioni della terra. Nel passaggio dalla lettera agli Efesini che troviamo nella seconda lettura, Paolo esprime questa stessa idea chiamandola ‘mistero', che nel suo vocabolario vuol dire ‘disegno di salvezza prima nascosto e adesso rivelato'. Ciò che era nascosto era il modo nel quale Dio avrebbe realizzato la sua promessa, avrebbe raggiunto tutte le genti. Per lungo tempo, il popolo di Israele aveva creduto che ciò sarebbe avvenuto attraverso la costituzione di un impero politico, simile a quello romano, che avrebbe stabilito il suo dominio su tutta la terra. Invece la forma scelta da Dio si è rivelata inattesa, sconvolgente e di fatto più potente dello stesso impero romano che di fatto il cristianesimo fagocitò nel giro dei primi quattro secoli della sua diffusione. Quindi Paolo afferma che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo (Ef 3,5-6). Uno degli sviluppi più promettenti e positivi della storia dell'umanità nel ventesimo secolo, dopo due catastrofiche guerre, è stato l'impulso a promuovere una unità delle diverse nazioni a livello mondiale con la creazione delle Nazioni Unite e di organismi volti a favorire la cooperazione internazionale. Esiste dunque oggi un ‘corpo' costituito dai rappresentanti di tutte le nazioni della terra. Si tratta però di una unità semplicemente morale e politica. E' già tanto certo e il suo ruolo per promuovere la pace e la giustizia a livello mondiale si è rivelato insostituibile in innumerevoli occasioni durante questi ultimi decenni. Quando però Paolo parla del mistero, del disegno di salvezza di Dio, il ‘corpo' al quale si riferisce è quello stesso di Cristo, al quale tutta l'umanità è destinata ad unirsi per diventare una sola cosa in lui. Questo è il senso della solennità odierna, l'epifania, cioè in greco la ‘manifestazione' del Signore. Essa rivela, ‘manifesta' appunto l'aspetto universale della salvezza che Gesù è venuto a realizzare, il fatto cioè che essa non riguardi solo Israele, ma tutti i popoli della terra, come lo aveva profetizzato già Isaia: Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te (Is 60,3-4). I vangeli detti dell'infanzia presentano questo aspetto della salvezza nel loro consueto dispiegamento simbolico, parlando di magi, di una stella e di doni. Di questi misteriosi personaggi, chiamati ‘magi' forse perché astrologi, è detto che vengono da Oriente, cioè non solo da altre nazioni, ma da paesi lontani ed esotici, estranei al paesaggio politico e militare che circondava direttamente Israele. La stella è un simbolo di predestinazione riguardo al personaggio appena nato, ma evoca anche la sua signoria non solo sulle vicende umane, ma su tutto il cosmo, del quale è il creatore. E' già suggerito dunque quanto affermerà Paolo riguardo al fatto che la salvezza riguarda tutto il cosmo: il creato tutto intero geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi (Rm 8,22). Solo Gesù ristabilisce l'armonia tra l'umanità e il cosmo, inaugura la nuova creazione, nella quale tutto celebra il Signore: il sole, la luna, le stelle - Lodate il Signore, sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle (Sal 148,3). La prima forma attraverso la quale il creato loda il Signore è quella di manifestarlo, indicarlo, farlo trovare a coloro che lo cercano: le perfezioni invisibili di Dio, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute (Rm 1,20). Il nostro passaggio evangelico suggerisce la distinzione tra il regno che inaugura il messia e quello dei potenti della terra. Erode è turbato (Mt 2,3) perché non lo capisce e sappiamo che questa sua confusione sfocerà nella tragica strage degli innocenti. Se accettasse anche lui di mettersi in cammino con i magi potrebbe accogliere la vera regalità di questo messia il cui regno non è di questo mondo (Gv 18,36), che vuole dare a Cesare quello che è di Cesare, ed insegnarci al tempo stesso a dare a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21; Mc 12,17). Potremmo essere tentati anche noi di temere di aprirci alla venuta del Signore. Ci chiediamo forse a cosa dovremo rinunciare, cosa perderemo e possiamo, come Erode, scegliere di restare indietro. Se invece con i magi ci lasciamo guidare fino a dove ci conduce la stella, anche a noi sarà riservata la stessa gioia grandissima (Mt 2,10) che provarono loro. E' la gioia di scoprire che Dio viene a salvarci non dominandoci, punendoci, umiliandoci, colpevolizzandoci ma conquistandoci con la sua debolezza e la sua piccolezza. Il Signore guarda benevolmente l'umiltà dei magi come fece con quella di Maria perché è il riflesso della stessa umiltà attraverso la quale lui, pur essendo di natura divina, non vi si è aggrappato gelosamente (Fil 2,6) -come fa Erode con il suo potere terrestre- ma se ne spoglia per assumere la nostra condizione umana e fare di tutti noi un solo corpo con lui. Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui |