Omelia (06-01-2018) |
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COMMENTO ALLE LETTURE Commento a cura delle Clarisse di Via Vitellia La liturgia della Parola ci fa entrare nella realtà che celebriamo: l'epifania, la manifestazione del Signore. Sono letture piene di movimento, dalla prima parola del profeta Isaia: «Alzati!» fino all'ultimo versetto del vangelo, nel quale i magi: «per un'altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). È un'unica grande immagine di cammino, paradigma per ogni incontro con la gloria del Signore. Il Signore non si manifesta nella forma di uno spettacolo da vedere restando fermi al nostro posto, continuando a guardare dalla nostra prospettiva. L'epifania del Signore avviene nella dinamica dell'incontro. Siamo sollecitati a metterci in cammino attratti da una luce che intercetta il nostro desiderio di uscire dall'oscurità, come quando, trovandoci in un posto buio, una sorgente luminosa raggiunge i nostri occhi e qualcuno viene a guidarci. Non siamo destinati a guardare la luce di Dio, siamo chiamati ad entrare nella sua luce e a rivestirci di luce. La luce, insieme al cammino, è l'altra grande realtà che pervade la Parola di oggi. Dio si manifesta come luce che attrae il nostro sguardo e ci fa vedere la strada buona per incontrarlo. Per il suo legame inscindibile con la vita, per il calore che irradia, per la bellezza dei colori che manifesta, per la sua natura diffusiva, la luce è immagine della vita e della bontà di Dio. «Dio è luce» scrive San Giovanni nella sua prima lettera (1Gv 1,5), affermando in primo luogo che Dio è la luce capace di vincere le tenebre del male, capace di diradare il buio che oscura, smarrisce e spegne la vita dell'uomo. Questa luce, che è salvezza nel senso più ampio e profondo di liberazione dal male, brilla in modo del tutto particolare e personale nel Figlio Unigenito di Dio, di cui nel Credo si dice che è «Dio da Dio, Luce da Luce», disceso dal cielo e fatto uomo «per noi uomini e per la nostra salvezza». Di questo venire della Luce salvifica tra noi e per noi, il tempo del Natale ci fa celebrare l'inizio semplice e umile, nascosto in un fatto apparentemente ordinario: la nascita del bambino chiamato Gesù, un nome che Matteo spiega dicendo che «egli salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Questa promessa trova compimento - nel vangelo di Matteo - nell'ultima cena, quando, proprio di fronte alle tenebre più fitte della passione, Gesù annuncia che la salvezza si realizza nel dono del suo sangue versato «per il perdono dei peccati» (Mt 26,28), si realizza attraverso l'offerta di un amore capace di restare acceso anche nel buio del tradimento e dell'abbandono. Dal principio alla fine del vangelo di Matteo è teso quindi un grande arco, che fa guardare già dall'inizio al bambino di Betlemme come al Figlio che rivela la grandezza dell'amore fino alla morte, come al dono del Padre che ha reso quell'amore presente all'uomo di ogni tempo risuscitando Gesù. La dimensione pasquale è ben presente nel vangelo di questa festa: i magi cercano infatti «il re dei Giudei», un titolo che ritorna soltanto nel racconto della passione, prima sulla bocca di Pilato, poi dei soldati che scherniscono Gesù e infine sulla croce, posto «al di sopra del suo capo come motivo scritto della sua condanna: "Costui è Gesù, il re dei Giudei"» (Mt 27,11.29.37)! Erode teme la nascita di un re che possa togliergli il trono come, durante i processo, gli esponenti del potere religioso e politico temono la forza profetica della parola e della persona di Gesù. La regalità di Gesù è dono di sé, servizio generoso senza calcolo, esercizio instancabile di misericordia: non può che essere invisa ad ogni forma di potere, piccolo o grande, che bada solo a salvaguardarsi. Ma come i magi non si scandalizzano di essere guidati dalle Scritture verso un luogo che non è la grande Gerusalemme e si prostrano con i loro doni preziosi di fronte ad un bimbo senza corona né palazzo regale, così «il centurione e quelli che con lui facevano la guardia» sapranno pronunciare la loro solenne professione di fede proprio davanti Gesù crocifisso: «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). Nella notte di Betlemme il segno luminoso della stella dà grandissima gioia perché è nato quel Figlio, Luce da Luce, che nel giorno scuro del Calvario ha aperto il cuore dell'uomo alla fede che salva, ha mostrato che fidarsi del Dio fedele è passaggio di salvezza che apre la vita alla luce, ha manifestato una morte per amore della quale il Padre fa una porta che si spalanca sulla risurrezione. Sulla croce l'amore di Gesù ha vinto il male; se viviamo in questo Amore, ci rivestiamo di luce e il buio non può smarrirci. «Dio è amore», scrive ancora San Giovanni nella prima lettera (1Gv 4,8): l'amore ha la stessa forza e lo stesso calore della luce, ha lo stesso valore salvifico e vitale. Non si comprende l'epifania del Signore se non alla luce della Pasqua. Per questo oggi ne viene annunciata solennemente la data. A partire dalla luce sfolgorante della risurrezione, l'intera vicenda di Gesù è stata riletta e ricompresa. Con la risurrezione, il Padre riconsegna all'umanità, in tutta la sua pienezza di grazia e di vita divina, quel Gesù che nel suo cammino dalla Galilea a Gerusalemme era stato seguito, ammirato dai discepoli e dalle folle, ma anche frainteso e alla fine abbandonato da tutti. A partire dalla risurrezione tutto è stato ripensato con lo sguardo reso nuovo dal Risorto, da quel Gesù ora presente per sempre accanto ai suoi di ogni tempo. Ogni ricordo di lui viene narrato, scritto, trasmesso, non come triste storia di un giusto finito male, ma come vangelo, come buona notizia del Figlio di Dio venuto nelle nostre notti con il dono della Luce. Tutto ciò che Gesù aveva detto e fatto mostrava il volto di Dio, manifestava il suo cuore, rendeva presente Dio stesso: il suo camminare tra la gente, le guarigioni, il ritirarsi in preghiera, il rimprovero della durezza di cuore, la compassione per i sofferenti, la misericordia, il perdono... Anche il suo nascere, quindi, anche il suo volto di bimbo tra le braccia della madre, in una semplice casa della piccola cittadina di Betlemme, diviene oggetto di stupore, di venerazione e di adorazione. Ora, nella luce della Pasqua, quella nascita va narrata e celebrata come nascita dell'Emmanuele, del Dio con noi! Occorre allora rimettersi in cammino verso Betlemme, accorrere alla nascita del Messia, ricominciare da capo a seguire Gesù con lo sguardo illuminato dalla manifestazione della sua divinità, che non solo va contemplata, ma anche annunciata. Il cammino ha tanti nomi, tanti aspetti; possiamo vederli nei magi che alzano lo sguardo, osservano, viaggiano, chiedono, ascoltano, credono alla Parola, gioiscono, entrano nella casa, vedono, si prostrano, adorano, aprono i loro scrigni, offrono i loro doni, fanno ritorno... È un'intera vita che si rianima di un nuovo respiro di fronte all'Amore che salva, alla Luce che guida! Erode chiede, si informa, ma resta fermo nella sua paura di perdere il potere, e in questa paura genera solo progetti di morte. I capi dei sacerdoti e gli scribi sanno maneggiare la Scrittura, ma non guardano la stella in cielo e il volto dei magi, leggono le profezie ma non le vedono, perciò non si muovono e non gioiscono. Con i magi siamo dunque chiamati a metterci in cammino verso la Luce, aprendo con stupore la nostra mente alla conoscenza del mistero nascosto nel cuore di Dio e finalmente rivelato (come dice la seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Efesini): la strada che porta a Gesù è una via di comunione aperta a tutte le genti, non importa da quale distanza o diversità provengano. Sulla strada dei magi si può solo camminare con cuore di fratelli e di sorelle «chiamati, in Cristo Gesù, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo» (Ef 3,6). Non si può infine non dedicare un pensiero alla figura dell'anziana donna che porta, anche se un poco storpiato, il nome della festa di oggi: la Befana. Una tradizione dice che i Magi, nel loro cammino, incontrarono una vecchietta e la invitarono ad andare con loro per portare un dono al Messia appena nato. La vecchina rifiutò, ma appena i Magi l'ebbero lasciata per proseguire sulla loro strada, si pentì. Raccolse subito in un sacco tutte le cose belle e dolci che aveva e uscì alla ricerca dei Magi, per portare anche lei il suo dono al Messia. Quando però fu sulla strada, non li trovò più; era buio, la stella era scomparsa e lei non sapeva dove andare con il suo sacco. Decise allora di mettersi in viaggio e di lasciare un piccolo regalo in ogni casa dove si trovasse un bimbo. Era certa che in questo modo il suo dono sarebbe giunto anche al Dio bambino. Forse anche in questo racconto c'è un piccolo riflesso di vangelo. Lo stesso Matteo, che oggi ci presenta il viaggio dei Magi, verso la fine del suo vangelo - al capitolo 25 - ci pone davanti ad una scena in cui sentiamo dire che, alla fine dei tempi, coloro che ricevono in eredità il Regno preparato da Dio sono quelli che si sono dati da fare ogni volta che hanno visto un fratello affamato, assetato, malato, straniero. Gesù dice: «l'avete fatto a me!» (Mt 25,40). Abbiamo sempre un appuntamento sicuro con «il re dei Giudei» cercato dai Magi, con Gesù, Re e Signore della nostra vita: la sua stella appare dove c'è povertà, fame, sete, solitudine, dignità ferita. Se la Befana ha lasciato un regalo ad ogni bambino nell'eventualità che fosse il Messia, noi possiamo essere certi di contemplare in ogni fratello povero il volto del Figlio di Dio. In ogni povero, piccolo, bisognoso di aiuto, c'è una misteriosa epifania del Signore davanti alla quale aprire lo scrigno del nostro cuore e offrire il dono di noi stessi. Questa sosta di amore non ci fa più poveri, ci rende invece eredi del Regno, ci rimette in cammino «per un'altra strada», al riparo dagli intrighi Erode, liberi dalle sue e nostre paure e sempre pronti a scrutare il vero orizzonte della gioia. |