Omelia (14-01-2018)
dom Luigi Gioia
Continuare a sperare

Nel salmo responsoriale troviamo queste parole: Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido (Sal 40,2). La nostra speranza nel Signore, la nostra attesa, il nostro grido, la nostra preghiera devono saper essere duraturi, perseveranti. Per questo il salmista ripete: ho sperato, ho sperato nel Signore. Questa ripetizione fa capire che non basta chiedere una volta, non basta sperare, desiderare per un momento solo. La preghiera, la speranza, il grido al Signore devono saper durare. Il più grande nemico della vita spirituale è infatti l'incostanza della quale parla il Vangelo quando si riferisce ai proskairoi, coloro che sono "solo di un momento". Quelli seminati sul terreno sassoso - dice il vangelo di Marco - sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito la accolgono con gioia, ma non hanno radici in sé stessi, sono incostanti (proskairoi), e subito vengono meno (Mc 4,16-17).
La prima lettura ci presenta oggi un modello straordinario di perseveranza e di ascolto, quello del giovane Samuele, introdotto con queste parole: Samuele dormiva nel tempio del Signore, presso l'arca di Dio (1Sam 3,3b). Samuele si teneva in presenza del Signore, desiderava servirlo. L'arca di Dio nell'Antico Testamento era il luogo sul quale si credeva che il Signore abitasse. Sappiamo che ora il tempio del Signore, l'arca del Signore, siamo noi. Non abbiamo più bisogno di andare in un luogo speciale per incontrare il Signore, per pregarlo, per restare alla sua presenza. In ogni luogo, in ogni momento, la notte come il giorno, in una stanza, nella via, nel nostro letto, basta scendere nel nostro cuore per trovarvi il Signore presente. Non sapete - dice Paolo - che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor 3,16) Malgrado questa prossimità del Signore, però, restiamo incapaci di scoprire questa sua presenza noi, di riconoscerlo vicino a noi.
Anche Samuele però, per quanto si tenesse sempre vicino all'arca di Dio, non lo conosce ancora, come ce lo mostra il seguito del racconto: per ben tre volte il Signore lo chiama, ma egli non lo riconosce: Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore (1Sam 3,7). Quante volte il Signore ci chiama, si rivolge a noi, ci parla, ma noi non lo riconosciamo? Quante volte esaudisce le nostre preghiere, ma non lo capiamo - o non lo capiamo subito? Malgrado non capisca, però, Samuele va dal sacerdote Eli, con il quale viveva. Eli era un sacerdote infedele e nel seguito della storia viene punito dal Signore. Tuttavia, come il sacerdote Caifa di cui parla Giovanni nel Nuovo Testamento, può profetizzare, può esercitare il suo ministero malgrado la sua infedeltà. Eli è irritato da quella che sembra essere una impertinenza del giovane Samuele, ma la terza volta si ricrede e capisce che c'è qualcosa d'altro. Allora - dice la prima lettura - Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta"» (1Sam 3,8-9).
Il testo non ci spiega come il sacerdote abbia riconosciuto che era il Signore. Ritroviamo però in questo passaggio un tratto del comportamento del Signore - attestato da tutta la scrittura - che forse è l'elemento che ha permesso a Eli di riconoscerlo: la perseveranza del Signore, la sua ostinazione, il fatto che egli non si stanca mai di chiamarci, non si lascia mai scoraggiare dalla nostra cecità e sordità spirituali, dalla nostra incostanza. Eli riconosce che è il Signore proprio a causa di questa insistenza, di questa fedeltà, di questa costanza.
Senza sosta il Signore continua a chiamarci, a parlarci, come con Samuele. Samuele non lo riconosce la prima volta, allora il Signore lo chiama una seconda e una terza volta, senza scoraggiarsi. Se non riconosciamo la presenza e l'azione del Signore nella nostra vita è perché siamo noi ad essere assenti, che non lo ascoltiamo, che non ci interessiamo a lui, che non lo conosciamo. Il Signore non si impone. Arriva sempre in punta di piedi, non perché sia timido o timoroso, ma perché rispetta la nostra libertà. Ci attende pazientemente. Tutta questa delicatezza del Signore è riassunta nella frase che segue: Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!» (1Sam 3,10). Il Signore viene, si tiene accanto a noi. La sua voce è come il mormorio della brezza leggera. Ci parla, ci chiama, ci consola. Possiamo allora anche noi sperare, come Samuele, di essere un giorno capaci di riconoscere questa sua presenza e di rispondergli: "Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta. Il tuo servo finalmente è capace di riconoscerti e di ascoltarti".
Per questo la perseveranza nella preghiera è la chiave della crescita nella vita spirituale. Samuele ha perseverato. Non si è scoraggiato. Quando passiamo da una stanza buia alla piena luce del sole, all'inizio siamo accecati, non perché non ci sia la luce, ma perché i nostri occhi sono chiusi, sono abbagliati. Solo gradualmente, pazientemente, con il tempo, impariamo a riconoscere la presenza e l'azione del Signore nella nostra vita. Ed è per questo che solo poco a poco impariamo ad entrare nella lode e nel ringraziamento - ci vuole una vita per imparare questa lezione! Continuiamo allora a sperare, ripetiamo senza stancarci questa preghiera: Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio (Sal 40,2-4).


Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui