Omelia (14-01-2018) |
don Alberto Brignoli |
Vocazione Chissà quale idea abbiamo della vocazione...e oggi, che nella nostra Diocesi celebriamo la Giornata del Seminario, questa domanda acquista un significato tutto particolare. Penso sia abbastanza semplice cadere in equivoci riguardo al termine "vocazione", soprattutto quando non si fa parte della categoria degli "addetti ai lavori": diciamo che, se per chi ha fatto la scelta di una particolare consacrazione al Signore, il concetto di vocazione è abbastanza chiaro, per chi ha fatto un'altra scelta di vita, forse non è così semplice riuscire a spiegarne il significato. E allora c'è il rischio di cadere in spiegazioni semplicistiche, incomplete, limitate, per le quali la vocazione è "quella cosa che hanno i preti e le suore" (come se fosse una caratteristica fisica o una cosa organica...), oppure una missione particolare che Dio affida ad alcuni piuttosto che ad altri perché scrutando il loro cuore ritiene di vedere in loro alcuni doni particolari (grazie a Dio, vi assicuro che non è così, altrimenti staremmo fritti...), o ancora un dono soprannaturale che Dio mette nel cuore di alcune persone rendendole migliori di altre e quindi riservandole per se stesso e separandole dal mondo (e anche qui, qualche dubbio ce l'ho, visto che ritengo il Padreterno sufficientemente intelligente per poter capire che nella stragrande maggioranza dei casi, se fosse veramente così, quel giorno aveva la congiuntivite...). Nulla di tutto questo, davvero: il termine "vocazione" nel suo significato etimologico significa semplicemente "chiamata", e anche solo questo potrebbe farci comprendere come la cosa riguardi veramente tutti, perché ognuno di noi viene chiamato per nome migliaia di volte nella propria vita, a volte dopo momenti di attesa, spesso invece inavvertitamente e improvvisamente. Solo successivamente, il termine "vocazione" è passato a indicare quella chiamata particolare legata alla consacrazione della propria vita a un ideale religioso, che comunque non è esclusivo del sacerdozio o della professione religiosa, dal momento che anche il matrimonio è una vocazione particolare che alcuni ricevono e altri no, e ha pure esso una forte connotazione religiosa, altrimenti la Chiesa non lo celebrerebbe come sacramento. Infine, vocazione è un termine che si usa anche per descrivere la naturale inclinazione di ogni persona verso ciò per cui si sente maggiormente portata, oppure le particolari doti che una persona esprime nell'esercizio delle proprie facoltà. E dobbiamo anche uscire dall'idea per la quale, nel caso di una vocazione a dimensione religiosa, Dio interverrebbe di persona mettendosi in contatto con il diretto interessato: se pensate che quando io sono entrato in Seminario, oramai quarant'anni fa, i telefoni cellulari erano una remota ipotesi comunicativa, potete immaginare la fatica dell'Altissimo a contattare di persona i suoi futuri ministri... Al di là dello scherzo, forse un brano come quello della prima lettura, in cui si descrive la chiamata del giovane Samuele per opera diretta di Dio, può averci tratti in inganno, lungo tanti secoli di storia della fede ebraica e cristiana, facendoci pensare che Dio sia abituato a scegliere le persone per un particolare incarico facendosi udire direttamente da loro. Ma questo brano è stato scritto non per farci capire cosa sia la vocazione, bensì per far comprendere al popolo d'Israele che è sempre e comunque Dio a guidare le sorti e la storia di un popolo, e le categorie con cui egli agisce non sono certo categorie umane. Chi invece può darci una mano a comprendere cosa sia la vocazione e soprattutto la sequela di Gesù, è il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato, che descrive la vocazione dei primi discepoli non come la risposta a una chiamata, ma come la conseguenza di una scoperta, di un cammino, all'interno del quale giunge un momento in cui dobbiamo dare una risposta a una domanda che ci viene rivolta. È la domanda è: "Che cosa cercate?". È interessante notare come nel Vangelo di Giovanni, a differenza dei Vangeli sinottici, non ci sia una sola chiamata diretta del Maestro all'inizio del Vangelo. Con Pietro, ad esempio, la chiamata a seguirlo avverrà solo alla fine di tutta la storia, sul lago di Tiberiade, dopo la sua morte e risurrezione, dopo il rinnegamento, dopo il tentativo dello stesso Pietro di voler "seguire il Signore ovunque egli vada" e dopo la spiegazione data da Gesù alla scelta che essi hanno fatto di abbandonare tutto per lui: "Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi". Sono tutte vicende, queste, narrate alla fine del Vangelo di Giovanni. All'inizio della vicenda storica di Gesù, la scelta vocazionale non è la risposta a una chiamata diretta: è innanzitutto la conseguenza di un annuncio (quello del Battista che indica ai suoi discepoli l'Agnello di Dio); è mettersi alla sequela del Maestro pedinandolo, vedendo ciò che egli fa; è rispondere alla sua domanda sul senso della nostra vita ("Che cosa cercate?", ovvero "Di che cosa siete in cerca?") non con un'affermazione, bensì con un'altra domanda ("Maestro, dove dimori?"), segno che non si smette mai di cercare; è accettare che lui non ti dia il suo indirizzo di casa (sarebbe troppo comodo, così!), ma ti dica solamente "Venite e vedrete", ovvero inizia a seguirmi e poi capirai; è la bellezza di stare con lui senza calcolare il tempo, arrivando quasi alla fine della giornata (erano le quattro, mancavano due sole ore alla conclusione della giornata lavorativa) senza accorgersi che il tempo vola; è annunciare agli altri la bellezza di un incontro che da subito capisci che ti cambierà la vita, visto che la prima cosa che fa è di cambiarti il nome, l'identità, come a Pietro. Ecco, tutto qui: nessuna chiamata notturna, nessuna caduta da cavallo, nessuno sguardo folgorante, nessun dono soprannaturale. Vocazione è seguire l'Agnello di Dio, quello che è venuto a togliere il male del mondo. Si tratta solo di andare dietro a lui e di fidarsi: lui sa quello che fa. Alla fine, lo scopriremo anche noi: ma intanto siamo solo all'inizio dell'anno! |