Omelia (21-01-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
In un giorno come tanti altri Le letture di questa Domenica danno l'occasione di riflettere su una realtà di fondo: quelli del Signore, eccettuando casi particolari e del tutto rari, non sono mai giorni straordinari. Dio si rivela infatti nell'immediatezza della vita ordinaria, nella spontaneità e nell'ordinarietà, nelle situazioni comuni della vita e quando la sua manifestazione avviene sotto questa forma indubbiamente reca sempre i dovuti frutti. Essi non riguardano immediatamente la vocazione, cioè la chiamata a una determinata missione o a un ruolo specifico, ma prima di tutto alla comunione con sé. Del resto, quando non si instaura in primo luogo una forte relazione filiale con il Signore, finché non si instaura una relazione di intima comunione filiale con lui, come potrebbe aver luogo un'adeguata corrispondenza al suo divino progetto, qualunque esso sia? Come si potrebbe mai rispondere ad un qualsiasi appello vocazionale divino quando non lo si concepisce come tale, cioè come disegno (appunto) divino e nom umano? Occorre che si costruisca pertanto in primo luogo un rapporto di fede che si concretizzi nella speranza e traspaia nella carità e che sia il riflesso di un'interazione comunionale fra me e il Signore, affinché da parte mia sia in grado di individuare la mia vocazione ed elezione (1Pt 2). Occorre in definitiva accogliere innanzitutto la Parola di Dio che chiama a conversione. Così come avviene nell'esperienza del fantomatico profeta Giona, che sulle prime si era mostrato recalcitrante e refrattario al monito del Signore che lo invitava a recarsi a Ninive a predicare ma che dopo essere finito nel ventre di un pesce per essere da esso espulso concepisce finalmente che alla volontà di Dio non ci si può sottrarre: adempie il mandato del Signore, si rende suo portavoce invitando il popolo di quella città al ravvedimento e alla conversione e tale monito viene accolto. Ninive è conosciuta nella Scrittura per non essere una città facile all'ascolto della Parola di Dio: è simbolo di avversione al sacro e di ateismo, eppure i suoi abitanti prendono sul serio l'annuncio che Dio fa loro per bocca del profeta e si dispongono alla conversione che recherà loro salvezza. Più volte ho raccontato in questi interventi la mia personale vocazione al sacerdozio prina orientata nell'indirizzo secolare, poi concretizzatasi nella dimensione religiosa e mi sono reso conto di persona che adempiere le vie di Dio è molto più proficuo e fruttoso che ostinarci sulle nostre prefisse volontà. Ma soprattutto posso confermare di persona che l'individuazione e l'elezione delle vie di Dio è possibile soltanto in un previo rapporto di fede, di intima comunione con Chi ci chiama alla conversione e rispondere a qualsiasi chimata comporta sempre un doverci converire. D'altronde qualora non ci si converte non ci si può illudere di avere fede, perché difficilmente ci si potrà radicare in Dio. Appunto questo è il senso dell'esclamazione di Gesù riportata oggi nel vangelo di Marco: Il tempo è compiuto, convertitevi e credete al Vangelo. Si intende dire in essa che in Gesù Cristo si è realizzata la piena rivelazione, l'automanifestazione assoluta di Dio che certamente avrà il suo culmine alla fine della storia ma che ora noi possiamo riscontrare nella presenza dello stesso Cristo in mezzo a noi. Con l'evento Gesù Cristo si è realizzato il Regno di Dio. Perché però possiamo accoglierlo con fede occorre che ci convertiamo. La conversione conduce infatti alla "radicalità", all'essere saldi nella consistenza della fede. E questo renderà possibile una corrispondenza alla chiamata sulla scia dei discepoli che in un giorno come tanti altri diventano annunciatori e pescatori di uomini. |