Commento su Gb 7,1-4.6-7; Mc 1,29-39
Oggi vi chiedo un'attenzione particolarissima, perché l'argomento è fondamentale e molto quotidiano. Si parla di come fare a vivere la sofferenza e quali strumenti abbiamo. Non vi sembra importante?
Gesù non ha eliminato il male, ci ha insegnato a portarlo, l'ha portato lui per primo. Portare il male significa assumere il male dei fratelli, condividere la loro condizione, comunicando forza di vita accanto a loro. In alcuni casi porta alla guarigione, in altri casi, dalla solidarietà, dall'amicizia, dalla vicinanza viene una forza che si traduce in consolazione, che aiuta a vivere positivamente la malattia.
GIOBBE 7, 1-7
La prima lettura è tratta dal libro di Giobbe. Fa parte dei libri sapienziali. Un poeta giudeo scrive il dramma del credente alle prese con la sofferenza: Giobbe. Il dramma di Giobbe è quello di ogni credente che soffre senza ragione. Giobbe crede in Dio, in un Dio giusto e onnipotente.
Per quanto faccia esame di coscienza, sulla giustizia e sull'amore degli altri, Giobbe si trova innocente. Quanti tra noi si trovano in questa situazione? Quante volte ci viene da chiederci: "Cosa ho fatto per meritarmi questo?" Poi c'è una categoria di persone, che la sanno lunga, gli amici di Giobbe:"Se soffri, è perché hai peccato...è perché Dio ti ama che ti castiga, egli castiga chi ama...forse hai peccato a tua insaputa!" Vedono la sofferenza come conseguenza di un peccato! Guardate che questa mentalità è diffusa ancora oggi! Per favore sradichiamola, almeno da noi!... Oppure, provano a convincerlo che Dio vuole educarlo, la famosa prova! Ecco, se avete degli amici così, almeno quando soffrite, statene alla larga! E voi, non fatelo!
Giobbe rifiuta questa spiegazione: non c'è proporzione tra la sua sofferenza e i suoi peccati o le sue debolezze! La vita gli sembra assurda! Ecco cosa fa Giobbe e cosa dobbiamo fare anche noi! Chiede giustizia a Dio in persona ed il Signore, dopo un tempo abbastanza lungo, gli risponde.
Dio non è un tiranno arbitrario e indifferente alla sorte delle sue creature! La battaglia di Giobbe e la battaglia di Dio sono un'unica battaglia! Quindi una cosa dobbiamo imprimerci nella carne: non siamo soli a soffrire, niente meno che Dio, il Signore che ci ha creati è con noi! Quando Giobbe si ribella, è proprio Dio che si ribella in Giobbe e rifiuta il male sotto tutte le sie forme. Una domanda che mi sento nelle orecchie è questa:"Se Dio non vuole la sofferenza, perché, visto che è onnipotente non la elimina? Ecco provo a rispondere, la creazione non è finita, noi siamo ancora in crescita, ci sono delle leggi nella natura dall'origine e Dio vuole che noi siamo suoi collaboratori nella creazione. Ci vuole dei figli adulti, non dei bambini viziati e inconsapevoli. Dio approva Giobbe, condanna i suoi amici ed è con lui! Il Giobbe che si trova alla presenza di Dio è un Giobbe vivo, vale a dire nella sua carne. Giobbe ha sofferto nel suo corpo, ed è il suo corpo che esperimenta la giustizia e la visione di Dio! Giobbe si accorge di esistere perché soffre, non significa che bisogna soffrire per incontrare Dio; al contrario, è soprattutto nella lotta contro la sofferenza che s'incontra il Dio di Giobbe!
La conoscenza di Dio, quella che vogliamo fare anche noi, è il premio di una lunga lotta contro la sofferenza e l'ingiustizia. Dio non è assente dall'esperienza della sofferenza. Nella lettura che avete ascoltato, Giobbe descrive la sua sofferenza a Dio. impariamo anche noi a parlare con Dio, a dire tutta l'angoscia del nostro cuore nel momento della sofferenza.
"Ricordati che un soffio è la mia vita!"
MARCO 1, 29-39
Proseguiamo il Vangelo di Marco, ci descrive una giornata "tipo" di Gesù. Dopo essere uscito dalla sinagoga e aver liberato un uomo dalle sue schiavitù, con autorevolezza, va nella casa di Simone e Andrea, insieme a Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre. Il verbo nel testo greco è:"Gesù si avvicina e la sveglia", la stessa parola usata per la resurrezione, "prendendola per mano". La forza creatrice in Gesù era talmente trasparente, che la sua attenzione, attraverso il contatto fisico o lo sguardo restituiva alla persona la fiducia nel valore della sua vita, la capacità di aprirsi all'energia creatrice, che ha in sé bloccata. I gesti di misericordia, gli sguardi di tenerezza, il non giudizio, il rispetto per l'infinito valore di ogni persona possono risvegliare la vita e ristabilire l'equilibrio fisico, psichico, spirituale. A questo, siamo tutti invitati e possiamo anche noi oggi ripetere in semplicità i gesti di Gesù, che afferra la persona malata e la rimette in piedi. Il servizio della suocera diventa la risposta a questo gesto d'amore e di solidarietà.
Dopo il tramonto del sole, visto che doveva essere un sabato, gli portano tutti i malati e gli indemoniati. Gesù continua a guarire quelli che patiscono indisposizioni fisiche e spirituali, ma non vuole pubblicità intorno ai suoi miracoli. Gesù non ama l'eccessiva popolarità, perché sa che nasconde un'euforia ingannevole, Gesù preferisce il rapporto diretto, personale, schietto, che mette a nudo fatica e autenticità.
Dio è amore, è relazione amorosa, non usa i metodi che noi usiamo. Nel Dio onnipotente, come lo immaginiamo noi, proiettiamo la nostra volontà di potenza. L'amore non costringe mai! L'amore è di un'altra qualità, il fulcro è il cuore di ciascuno di noi! Chi obbedisce all'amore va sempre altrove. Ma dove prende tutte queste energie Gesù? Qual è il suo segreto? E' la preghiera"Si alza quando è ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava." Cerchiamo allora di cogliere il suo segreto, perché anche noi abbiamo bisogno di energia e siamo sommersi da richieste e necessità! La preghiera ha bisogno di un tempo. Gesù si alza all'alba, anzi prima. Noi facciamo come la nostra persona è più portata, ma è indispensabile dare un tempo, fossero anche 5 minuti, vissuti nel silenzio, rivolti al Padre, alla persona che ci ama di più! Ognuno può immaginare cosa vuole, le braccia calde e accoglienti del Padre e rifugiarsi, riposarsi, trovare ristoro! Occorre un luogo, anche qui è individuale. Può essere un angolo della casa con una Parola di Dio ripetuta, può essere persino in un treno o in un bus, se uno fa lunghi tragitti, con l'abitudine anche la gente può diventare un fruscio indefinito, può essere una panchina nella pausa pranzo. Fate voi, ma trovatelo, è necessario! Se siete in coppia, potete trovarlo insieme, per i più fortunati, altrimenti ci si unisce a tutto l'universo che loda Dio e lo ringrazia per la vita.
Di solito propongo il silenzio, ricordate cosa dice Eli a Samuele? "Parla Signore che il tuo servo ti ascolta!" Ognuno fa come lo Spirito lo ispira, ma cerchiamo di non fare solo elenchi della spesa da ricordare a Dio, come se avesse poca memoria, quello che a noi sembrano le nostre necessità. Sarebbe, come capite, un po' offensivo! La preghiera più congeniale a me è dire: "eccomi, mi butto tra le tue braccia, mi fido di te" e rimango lì, se poi ho più tempo, prendo una frase della Parola di Dio e la ripeto, mi cullo in lei, aspetto che la Parola entri in me. Diventa poi un atteggiamento di preghiera nella giornata. Il segreto della vita di Gesù è il suo intimo colloquio col Padre. Perché non imitarlo?
Simone si mette sulle tracce di Gesù, perché tutti lo cercano, ma Gesù dice :"Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là: è per questo che sono venuto!"Gesù non si lascia ingabbiare dalla popolarità. Cerchiamo di imitare anche questa caratteristica di Gesù, di sfuggire alle schiavitù che ci bloccano. Il Dio di Gesù è venuto a spezzare le catene e l'uomo è chiamato a farlo! Cos'è che incatena? L'amore dell'uomo verso se stesso, portato all'eccesso. Occorre il carburante, che è la preghiera fiduciosa, che ci riattiva l'amore del bambino che corre sulle ginocchia del Padre. Diventiamo capaci anche dell'impossibile, e così la nostra debolezza diventa potenza di Dio!
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