Omelia (28-01-2018) |
don Alberto Brignoli |
Autorevoli o autoritari? Tra le frasi famose che circolavano ai tempi della mia giovinezza (gli "over 50" se lo ricorderanno senz'altro) ce n'era una legata alle previsioni meteo. Quando volevi dare forza alla tua affermazione circa il fatto che il giorno dopo avrebbe piovuto, oppure che sarebbe finalmente tornato il sole, era sufficiente che sentenziassi così: "L'ha detto il Bernacca!". Citare il colonnello dell'aeronautica più famoso d'Italia equivaleva a professare una verità di fede, poiché nessuno osava mettere in discussione un parere tanto autorevole quanto unico: allora la tecnologia in campo meteorologico non era così avanzata, per cui si dava per certo - aldilà che poi avvenisse effettivamente così - quello che era detto dall'autorità massima del settore. Le cose poi si evolvettero, nel corso degli anni: ma rimase nell'immaginario collettivo l'idea che il meteo dipendesse dall'autorità che ne faceva la previsione. Autorità o piuttosto autorevolezza? Eh, sì, perché non sono poi la stessa cosa, e lo sappiamo bene. Essere autoritario è una cosa, essere autorevole un'altra. E non sempre vanno di pari passo o le incontriamo entrambe nella stessa persona. Essere un'autorità, o meglio, diventare un'autorità, è relativamente facile: è sufficiente che tu rivesta o che ti venga affidato un ruolo pubblico, e per il contesto nel quale vivi e ti trovi a operare sei già un'autorità. Beh, nel mio piccolo, vi posso assicurare che non è poi così facile neppure essere un'autorità: sei conosciuto, quindi sei sempre sotto i riflettori, devi fare attenzione a come parli, a cosa dici, a come ti vesti, a come ti comporti, a quanto e cosa mangi, a dove vai, a chi frequenti, e via dicendo. Ma essere autorevoli, e fare in modo che quest'autorevolezza coincida con l'autorità che rappresenti, è tremendamente più complesso: significa innanzitutto mostrare coerenza tra quanto dici e quanto fai, tra quanto rappresenti e quanto operi, tra quello che ti è affidato come incarico e il fatto di esercitarlo con una sicurezza, un'intelligenza, una passione, un entusiasmo tali da saper essere un leader nel senso vero del termine, ovvero una guida sicura per chi decide di seguirti. Ed essere un'autorità autorevole è talmente difficile che, nella stragrande maggioranza dei casi, chi ha un'autorità preferisce fare la scelta più comoda, ovvero quella di essere "autoritario" prima ancora di essere autorevole: da ciò, nascono tutti quegli atteggiamenti con i quali si crede di detenere il potere ma in realtà non si ha mano nulla; si riesce, forse, a incutere rispetto, obbedienza, timore, sottomissione, ma di certo non si è seguiti, apprezzati, amati come si dovrebbe. Essere autorevoli, invece, è qualcosa di talmente profondo e vero che può essere vissuto e attuato anche se non si esercita un'autorità, perché per essere seguiti, amati, ascoltati e tenuti in considerazione lo si può, anzi lo si deve, essere previamente e a prescindere dal ruolo che si riveste. Essere genitori autoritari, giusto per fare un esempio, è tanto facile quanto utilizzare frasi del tipo "È così perché è così", "È così perché lo dico io", magari corroborandole - come si usava più in passato che al presente - con qualche "sigillo" lasciato sulle guance o su altre parti meno in vista del nostro corpo. Facendo così, forse (e sottolineo "forse"), si ottiene rispetto, timore, obbedienza: ma di certo, non si ottiene quell'amore, quella stima, quel desiderio di emulazione da parte dei figli che si otterrebbe essendo "autorevoli" con loro, affiancando, ad esempio, la fermezza di alcune prese di posizione forti con la dolcezza della spiegazione, con la pazienza di insegnare il valore che ci sta dietro, e soprattutto con l'esempio di una vita coerente e in sintonia con i valori che si cerca di trasmettere, a volte anche con prese di posizioni un po' autoritarie. Anche perché, alla fine, a un genitore o a un'autorità o a un soggetto pubblico che si mostra autorevole, viene perdonato molto di più di quanto si condoni a un soggetto autoritario che venisse colto in fallo in un comportamento sbagliato. È tutta questione di limpidezza e purezza di spirito, di semplicità e di rettitudine di intenzioni, di serenità d'animo che fanno di un'autorità una persona autorevole perché capace di dimostrare con i fatti e con la vita che ciò che fa lo fa per amore. Uno spirito impuro, come quello che nel Vangelo di oggi affronta Gesù all'interno della sinagoga, non avrà mai la serenità e la limpidità necessarie a riconoscere in lui il segno e la presenza autorevole dell'amore di Dio: per cui, invece di ascoltarlo e di seguirlo, si preoccupa solo di affermarne l'autorità ("Io so chi tu sei", molto simile al "Lei non sa chi sono io!") dimenticando la sua autorevolezza. Questo "santo di Dio", non a caso, dallo spirito immondo viene temuto ("Sei venuto a rovinarci?"), perché viene visto come contrario alla logica del potere autoritario. Ma in questa logica perversa dell'autorità non cade solo lo spirito impuro da cui quest'uomo è posseduto: ci cade anche la folla che nella sinagoga ascolta la parola di Gesù, e che si meraviglia non della sua autorevolezza, quanto della sua autorità, subito messa a confronto con quella degli scribi, che dell'autorità e dell'autoritarismo facevano la loro ragione di vita. Tant'è vero che l'unico altro episodio del Vangelo di Marco in cui si parla dell'autorità di Gesù vede come protagonisti proprio gli scribi e i farisei, che di fronte alla grandezza di Gesù cadono subito sul piano dell'autorità, e Gesù li smaschera a partire dalle loro stesse parole, interrogandoli sull'autorità di Giovanni Battista: ma essi tacciono, incapaci a dare una risposta, perché quando l'autorità prevale sull'autorevolezza si perde lo spirito vero delle persone, la loro passione, il loro entusiasmo, la loro voglia di comunicare vita. Perché quando si è autoritari, qualche volta si è anche obbediti e ascoltati, ma per timore; quando invece si diviene autorevoli, si è sempre ascoltati e seguiti, e non certo per timore, ma soltanto per amore. |