Omelia (04-02-2018) |
diac. Vito Calella |
La Parola di Dio ascoltata si fa carità 1. Accostarsi, sollevare, prendere per mano ed essere serviti Il miracolo della guarigione della suocera di Pietro, a letto per la febbre, è il primo miracolo di cura operato da Gesù, documentato nel vangelo di Marco. È un miracolo fatto senza pronunciare parole, fatto nel "silenzio della parola", perché devono parlare i gesti di Gesù: "Accostarsi, sollevare, prendere per mano". La Parola ascoltata, depositata, custodita nella mente e nel cuore si fa carità, si traduce concretamente in gesti di prossimità (si accostò), di liberazione (la sollevò), di condivisione (la prese per mano). La sinagoga era il luogo della proclamazione della Parola di Dio, e Gesù aveva parlato con autorità, aveva predicato. I primi discepoli lo avevano ascoltato. Tornando a casa loro custodivano nel cuore e nella mente le parole di Gesù. Tornavano a casa stupiti per la potenza di quelle parole dette, capaci di dominare gli spiriti impuri. La casa di Pietro è il luogo della quotidianità, della vita di ogni giorno, è il luogo in cui la Parola di Dio, custodita nel cuore, si traduce in gesti semplicissimi e nascosti di vicinanza, di tenerezza, di presenza amica, di attenzione, di irradiazione dell'amore, di cui la Parola di Dio è sorgente inesauribile. Gesù ci insegna che la Parola di Dio ascoltata si fa carità nel silenzio. Se lo ha fatto Gesù, lo possiamo fare anche noi: andiamo a messa per ascoltare e custodire nel nostro cuore e nella nostra mente la Parola di Dio, meditata, pregata, celebrata. Fuori dalla chiesa torniamo nella quotidianità della vita, la nostra casa, e diventiamo persone attente a chi ha più bisogno della nostra prossimità, del nostro incoraggiamento a uscire dalla prostrazione della sua infermità e del suo dolore, a chi ha più bisogno di essere preso per mano, per camminare insieme. La prima lettura, del libro di Giobbe, ci mostra il dramma di chi è solo, abbandonato nella sua sofferenza, nella sua malattia e non incontra nessuno che gli stia veramente vicino, senza giudicare la causa del suo soffrire. Giobbe è l'immagine dell'uomo solo, che soffre e si dimena nella sua sofferenza senza trovare consolazione. Il tormento, il pessimismo, la non speranza di Giobbe è la solitudine di tanta gente che attende la nostra prossimità, la nostra attenzione, la nostra carità. Se custodiamo nel cuore e nella mente la Parola di Dio, non possiamo ritornare nei luoghi della nostra quotidianità e procedere indifferenti, a testa bassa e occhi chiusi, senza percepire che c'è gente attorno a noi, che soffre e si dimena, e magari lo abbiamo proprio dentro le mura della nostra propria casa. Un segno del Regno di Dio già in mezzo a noi è la testimonianza di chi è stato toccato dalla nostra carità di prossimità, liberazione e condivisione e ora si mette a servirci. La suocera di Pietro, toccata dall'accostarsi, dall'essere sollevata, dall'essere presa per mano da parte di Gesù, è l'esempio della gratitudine pratica del "servire": "La febbre la lasciò ed essa li serviva". L'effetto della Parola di Dio custodita nel nostro cuore e nella nostra mente è la nostra carità verso chi soffre e sta in casa o è vicino di casa. L'effetto della nostra carità verso chi è solo e sofferente è la sua gioia di servire nel silenzio della sua gratitudine. È una gioia profonda, per noi che ci siamo fatti prossimi di chi soffre, sperimentare questa gratitudine tradotta in gioia di servirci. La gratitudine pratica del servire, da parte di chi è stato toccato dalla nostra carità, è il "miracolo" più bello e più profondo del "miracolo" della nostra solidarietà. È un miracolo da celebrare, quando avviene. 2. Lo spenderci per gli altri chiede tempi di silenzio e di preghiera in solitudine. La Parola di Dio ascoltata si fa carità. Spesso capita che la nostra disponibilità a stare accanto di chi soffre attira verso di noi più gente di quello che noi ci aspettiamo. La nostra carità diventa luce per molti, diventa speranza per altri. Gesù non passò quel sabato, in casa di Pietro, a godersi la gioia di un bel piatto di cibo e di un buon bicchiere di vino, preparatogli con gioia dalla suocera del suo discepolo. Una folla di gente si presentò alla sera e lui dimenticò se stesso e si rese disponibile per tutti, fino a notte inoltrata. La dedicazione di Gesù in quel giorno di sabato è anche la testimonianza di Paolo, a servizio gratuito e instancabile verso le comunità da lui fondate: "Essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero. Mi sono fatto debole con i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Cor 9, 22-23). Ma quanto più intensa è l'attività apostolica di carità verso tutti, tanto più forte è la necessità di ritornare a centrare il cuore e la mente nella fonte dell'amore. La Parola di Dio ha bisogno di spazi e tempi di silenzio e di solitudine, per rimanere profondamente ancorata nel centro del nostro cuore. C'è bisogno, si, della celebrazione comunitaria della Parola, che noi viviamo nella Messa. Ma c'è bisogno anche della preghiera in solitudine, perché la Parola faccia radici profonde dentro di noi e sia la forza ispirante di tutte le nostre azioni di carità verso gli altri. Gesù, dopo quell'intensa giornata di Cafarnao, "al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava". |