Omelia (11-02-2018)
Carla Sprinzeles
Commento su Levitico 13,1-2.45-46; Marco 1,40-45

Oggi le letture ci fanno prendere in considerazione il diverso, il sofferente, l'emarginato.

L'esperienza della malattia e della sofferenza è sempre qualcosa di cui non riusciamo a comprendere pienamente il senso. Tuttavia nel Vangelo troviamo un'indicazione chiara: Dio non ama la sofferenza.

Gesù ha compassione per tutti gli ammalati. La malattia non è un bene per l'uomo, non è voluta da Dio, è un momento di prova, ma non la manda Dio. Lottare contro di essa non è solo legittimo, ma significa mettersi dalla parte di Dio.

La figura del lebbroso, nella prima lettura e nel vangelo, è l'immagine dell'uomo escluso, che solo in Dio può trovare la sua difesa.


LEVITICO 13 1-2.45-46

La prima lettura, se non comprendiamo il contesto in cui è stata scritta, ci scandalizza! Ma se siamo un po' attenti, forse non abbiamo molto da scandalizzarci, bensì da vedere in onestà se e quanto siamo disposti noi ad accogliere il diverso, il sofferente, l'emarginato, il drogato o l'alcolizzato!

La lettura è tratta dal libro del Levitico. A Babilonia, a migliaia di chilometri dalla Palestina, nel VI sec. A.C. gli ebrei, lasciata Gerusalemme ridotta a un cumulo di rovine, sono stati deportati lungo i fiumi Tigri ed Eufrate; là hanno giurato a se stessi di non continuare a vivere qualora avessero dimenticato Gerusalemme. Nell'immensa distesa di sabbia che è Babilonia ci sono i grani vivi del popolo schiavo che cerca di distinguersi. Un gruppo di sacerdoti, in esilio, in attesa di una nuova libertà (che avverrà nel 538 con Ciro) codificano il volto dell'ebreo in tutta la sua totalità, perché nulla resti confuso, ma tutto sia definito.

Nel Levitico troviamo la preoccupazione di difendersi dai "germi" della cultura babilonese. Si parla di "purezza", che non è come oggi riferita immediatamente al sessuale, indica "autenticità, consistenza". A volte norme igieniche diventano norme religiose. Tutto per indicare cosa è sano, utile, sicuro per il vivere e anche per la fede.

La lebbra è la malattia più impura: sembra che l'uomo si sfaldi, diventa un segnale di peccato! Il lebbroso è uno scomunicato. C'è una sacralità gelida, inesorabile, come l'essere umano guidato solo dalla razionalità. Il lebbroso doveva vivere fuori dall'accampamento, qualunque malattia della pelle che solo faceva sospettare la lebbra, doveva essere separata e tenuta lontano, oltretutto era il soggetto stesso, che doveva gridare: "impuro, impuro" e tenere gli altri distanti. Se si fosse avvicinato alle altre persone, sarebbe stato lapidato! Le regole rabbiniche spiegavano che la malattia era causata da una grave trasgressione della legge e proibiva qualsiasi approccio ad una vittima della malattia. Il lebbroso ne è consapevole, in fondo pensa davvero di essere colpevole della sua malattia!

Come dicevo all'inizio è sconcertante! Ma pensiamo quante volte siamo impauriti di contagiarci, quanto, nonostante sia passato Gesù Cristo a farci vedere un Dio ben diverso, noi, con molta più eleganza, vogliamo isolare chi riteniamo da escludere dalla società! Ancora oggi poi pensiamo che un poco di buono, un miserabile abbia colpa della sua miseria! Quante volte invece di essere solidi sulla roccia che è Cristo, ci arrocchiamo all'interno dell'accampamento, non pensando che in qualche misura se uno è disumano, in qualche modo il mondo in cui è vissuto è disumano!

La nostra durezza di cuore può creare negli altri l'essere disumano. Cosa dobbiamo fare? Legittimare i comportamenti? Non spetta a noi giudicare, ma guardare l'altro al di là dei suoi comportamenti, nella sua dignità umana che è la coscienza!


MARCO 1, 40-45

Gesù aveva iniziato il suo spostamento in Galilea portando il suo messaggio di vita, fatto di parole nuove e di azioni prodigiose. Gli si avvicina un lebbroso, sfidando la legge (poteva essere lapidato!) è un morto ambulante! Nel tentativo di preservare la vita, le leggi religiose creavano condizioni di morte! Gesù non voleva apparire come un mago, ma lui era venuto a portare il Bene sulla terra e quando la sua compassione incontrava la FIDUCIA del malato, era spinto a restituirgli la salute. Qui il verbo greco che viene tradotto "ebbe compassione" indica ben di più. Si potrebbe esprimere con i sentimenti di una mamma che vede il suo bambino soffrire e letteralmente si sente "contorcere le viscere, con un misto tra spavento, rabbia e compassione (patire con..patire insieme).

Gesù, secondo le norme religiose del tempo, contrae impurità, si contagia del peccato di quell'uomo. Ci è venuto a far conoscere Dio che non sta alla finestra a guardare, ma è come una mamma che vede il suo piccolo mal ridotto, si sporca le mani, non giudica, interviene! Prende su di sé la sofferenza di quell'uomo. Il contagio avviene, ma al contrario: è Gesù che contagia l'uomo con il suo amore! Quello che Gesù è venuto a insegnare è di smetterla di dirci immondi: questa è la rivoluzione, il capovolgimento, Gesù è venuto a svegliare la coscienza degli esclusi perché smettano di considerarsi legittimamente esclusi, Dio non esclude nessuno! L'unica cosa che può escluderci è la sfiducia, se volontariamente ci chiudiamo, l'amore di Dio non può far violenza! Se ci arrocchiamo dentro il nostro accampamento e il sentimento prevalente è la paura, non possiamo dirci seguaci di Gesù! "Se vuoi" dice il lebbroso, "Sì, lo voglio, sii purificato!" La volontà di Dio è che l'uomo viva! Gesù non dà risposte al dolore, alla sofferenza, le condivide e ha lasciato a noi il compito di proseguire questa scelta della vita. Non conosco i tempi, ma so che Dio, il suo Spirito lotta con me, si coinvolge con me, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte! Ogni vita muore se non è toccata, muore di silenzi. Il cuore può morire per assenza di incontri! Gesù tocca e l'uomo è restituito alla famiglia, torna alle carezze!

Perché Gesù intima all'uomo guarito di non dire niente e di andare subito dal sacerdote a fare ciò che Mosè aveva prescritto? Voleva che fosse reintegrato ufficialmente nella comunità.

Oltretutto, come già detto Gesù non vuole essere considerato un guaritore, vuole che tutto rientri nella normalità, perché non si fraintendesse il segno da lui compiuto! Ancora oggi facciamo fatica a capire come mai il Dio di Gesù consegni alla nostra compassione il male dei fratelli. Dio non è magico, opera sempre in collaborazione con l'uomo. Non può agire là dove non c'è fiducia nel Bene, che è sempre all'opera nella storia. Tutti i gesti del Signore hanno lo scopo di portare l'uomo alla vittoria sul male! Il lebbroso divulga il fatto! Non si fida di chi l'ha risanato! Fa come avremmo fatto anche noi! L'uomo, troppo spesso incentrato su di sé, crede di fare bene testimoniando a destra e a sinistra il proprio incontro con il Signore, la sua guarigione fisica. Se stiamo attenti noi ci mettiamo spesso al posto di Dio. Mettiamo al centro noi, più che l'opera divina avvenuta in noi! Qual è allora l'atteggiamento da tenere? L'ha detto Gesù: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri!" L'importante non sono i miracoli appariscenti, ma l'unico vero miracolo è la capacità data all'uomo di amare "come il Signore ci ha amati", lavorando per la felicità dei fratelli nella quotidianità e nell'umiltà dei piccoli gesti, dell'attenzione, della compassione.


Non dobbiamo risolvere noi la fobia dell'extracomunitario, del drogato, dell'ammalato di Aids, del lebbroso, ma attingendo dallo Spirito di Gesù, contagiarlo con il nostro amore. Curiamo le relazioni in famiglia, nelle amicizie, con Dio; l'uomo è relazione, lasciamo agire la razionalità per quello che è razionale, deponiamo la pretesa saccente di indicare a Dio ciò che deve fare. Mettiamoci in verità davanti a lui come un povero che non ha mangiato da tre giorni! Cosa desidera? Egli stesso è preghiera! Tutto l'essere è preghiera! Ogni essere è preghiera!