Omelia (11-02-2018)
dom Luigi Gioia
Non angeli ma "carne"

Occorre interrogarsi sulla ragione per la quale, nella pagina evangelica odierna, quando il lebbroso si avvicina a Gesù non gli chieda di essere guarito. Non gli dice infatti: "Se vuoi, puoi guarirmi", ma Se vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40). E Gesù gli risponde: Lo voglio, sii purificato! (Mc 1,41)
La purezza è diventata piuttosto equivoca nella nostra concezione di ciò che ci rende belli, integri, sani. Quando pensiamo ad essa, ci immaginiamo come degli angeli, delle persone impeccabili, capaci di dominare completamente i nostri istinti, dotati di una bellezza straordinaria, atemporale. In ognuno di noi c'è questa tendenza all'angelismo, questo anelito ad una purezza ideale. Quando la purezza diventa sinonimo di angelismo è pericolosa perché può trasformarsi nella tentazione di fuggire la nostra realtà di esseri incarnati, di evadere dalla nostra ambivalenza costitutiva.
Chi aspira ad essere un angelo pensa forse di poter acquisire un controllo sulle proprie passioni ma in realtà sta negando la propria umanità e questo finisce con il decuplicare la forza delle pulsioni che, soppresse, ad un certo punto esplodono. Questa deviazione è riapparsa costantemente nella spiritualità cristiana. Nel corso dei secoli, innumerevoli movimenti hanno cercato questa purezza ideale, come ad esempio i Donatisti al tempo di sant'Agostino, i Catari ('catari' vuol dire appunto 'puri') nel Medioevo o alcuni movimenti di stampo carismatico negli anni '80 e 90'. In tutti questi casi, la ricerca di purezza sfociò negli abusi più inattesi e sorprendenti, specialmente dal punto di vista del potere o della sessualità. Di fronte a tali derive è dunque importante capire che la purezza evangelica è l'esatto contrario di questo angelismo. Non siamo esseri puri o semplici, perché siamo un 'miscuglio' di terra e di soffio divino. Siamo una 'carné caratterizzata da aspetti che probabilmente non ci piacciono, ma che dobbiamo accettare, assumere e portare serenamente se vogliamo accedere ad un certo equilibrio.
Il senso biblico della purezza è dunque un altro. Possiamo dedurlo a partire dalla prima lettura, nella quale si dice in cosa incorre chi diventa impuro. Nel libro del Levitico, quando qualcuno manifestava dei sintomi che potevano essere ricondotti alla lebbra, una malattia infettiva, immediatamente veniva dichiarato dal sacerdote 'impurò. La conseguenza era che doveva allontanarsi dagli altri e vivere solo fuori dall'accampamento. L'impurezza quindi, da un punto di vista biblico, è la separazione dalla comunità e da Dio. E' l'incapacità, l'impossibilità, di essere in relazione con Dio e quindi di poterlo adorare: il lebbroso non poteva entrare nel tempio, non poteva partecipare alla preghiera - era separato da Dio e dalla comunità. In questo risiede l'analogia tra la concezione dell'impurità come lebbra e la realtà del peccato. Il peccato è separazione da Dio e dalla comunità. La purezza è la possibilità di ritrovare la comunione con Dio, di poterlo lodare, ringraziare, di potergli offrire la propria vita in sacrificio. La purezza è la possibilità di offrire al Signore non solo le nostre preghiere, ma anche i nostri corpi, come sacrificio a lui gradito, in comunione con i nostri fratelli e le nostre sorelle.
Un'altra connotazione biblica della purezza ci è poi offerta nel discorso sulla montagna: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). La purezza nel Nuovo Testamento è interiore. Non si è puri semplicemente lavandosi, praticando cioè le complesse abluzioni rituali tipiche della religiosità ebraica. Allo stesso modo, non si diventa impuri a causa di una malattia indipendente dalla nostra volontà. Si è puri se il cuore è orientato verso Dio e in pace nei confronti dei fratelli. Non basta più solo non uccidere, non rubare, non commettere adulterio. Per essere puri occorre confrontarsi con le radici dell'ostilità nel proprio cuore. Diventiamo 'puri' soltanto se accogliamo la giustizia nel nostro cuore.
Come il lebbroso siamo dunque anche noi invitati ad andare da Gesù e a chiedergli: Se lo vuoi, puoi purificarmi (Mc 1,40). "Se lo vuoi, Signore, puoi restituirmi la capacità di adorarti e di offrirti tutto me stesso, il mio spirito, la mia anima, il mio corpo in tutti i suoi aspetti, come sacrificio che ti sia gradito. Se lo vuoi, Signore, puoi purificarmi, puoi restituirmi la serenità del cuore, lo sguardo limpido che mi permette di guardare le persone con rispetto e di entrare in una logica di perdono, di misericordia". Sono puri solo i cuori purificati da Cristo. A lui dobbiamo rivolgerci con la stessa audacia, umiltà, tenacia del lebbroso del vangelo di oggi. Questo grido può diventare la nostra preghiera: Se lo vuoi, Signore, puoi purificarmi (Mc 1,40).
Naturalmente Gesù lo vuole. La sua volontà, come dice Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi, è la nostra santificazione (1Ts 4,3), è la nostra purificazione. Lo voglio, sii purificato! (Mc 1,41), ci risponde Gesù.
Questo ci permetterà di vedere Dio, di riconoscerlo, di avere uno sguardo limpido. Questo permetterà alla fede, all'amore, alla speranza, di aprire gli occhi del nostro cuore per aiutarci a riconoscere Dio presente, attivo, in tutte le circostanze della nostra vita. Ci permetterà di vedere Dio nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle. "Se lo vuoi, Signore, puoi purificarmi". "Lo voglio, sii purificato!" (Mc 1,40-41).

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui