Omelia (18-02-2018)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 1,12-15

Mercoledì è iniziata la Quaresima: abbiamo a disposizione quaranta giorni - ora solo più 36... - per fare un bilancio sulla nostra relazione col Buon Dio, per riconoscere gli aspetti che funzionano e quelli che non funzionano, rispetto alla fede. E visto che parliamo di funzionamento, un primo elemento da tenere presente, e sul quale forse è necessario convertire le nostre convinzioni, è che la fede non funziona da accusatore, ma da faro: la fede non colpevolizza, la fede illumina.
In altre parole, la fede ci aiuta a fare verità su di noi, sui nostri affetti, sul mondo...
Non abbiamo nulla da temere, nell'accostarci al Cristo della fede!
Si tratta di decidere quale faro, quale luce accendere dentro, fuori e tutt'intorno a noi...
La fede è soltanto una delle possibilità; ce ne sono altre che, certo, danno ai nostri atti un valore diverso, rispetto a quello che la fede riconosce; un valore talmente diverso, che un bene secondo la fede, può addirittura essere visto come male, e viceversa, quando lasciamo che i nostri pensieri, le nostre parole, i nostri gesti siano illuminati da un'altra luce.
Si può morire d'amore per gli ingiusti? per i criminali? per i traditori? per i delinquenti? per i molestatori?... Secondo la logica umana, assolutamente no! Ci sono molti motivi per non amare un poco di buono: ci facciamo del male da soli; ci rendiamo complici delle sue malefatte...
Insomma, un poco di buono resta sempre un poco di buono... e chi va con lo zoppo...
Non è il caso di spendere altre parole, ne abbiamo fatto esperienza tutti, almeno una volta.
Invece, secondo la fede, amare i nemici, morire per loro è possibile, anzi, costituisce la vetta più alta, il livello più perfetto dell'amore.
Certo, amare i nemici non è da tutti; ma resta l'ideale cristiano, l'orizzonte che sempre ci sta davanti, e tuttavia ci attrae, muovendoci a camminare in quella direzione...
L'ideale: l'ideale si differenzia dall'idealizzazione e dall'utopia: l'ideale seduce, ma, al tempo stesso traina la vita verso il suo raggiungimento. L'idealizzazione invece seduce, sì, ma anche scoraggia, perché (l'idealizzazione) attribuisce all'oggetto un carattere di perfezione assoluta che non è reale, e dunque non è realizzabile. Idealizzare qualcuno, o qualcosa ci condanna alla frustrazione... Non raggiungeremo mai l'obiettivo idealizzato, e presto o tardi, lo abbandoneremo.
Idealizzare le figure del Vangelo, a cominciare da quella di Gesù, significa condannare anche loro all'inutilità: a cosa ci serve un esempio che non si può imitare?
Di fronte ad una simile operazione, favorita nei secoli passati da una interpretazione forse troppo letterale, al limite dell'integralista, della Parola di Dio, hanno avuto buon gioco i detrattori del Vangelo - un nome per tutti, Karl Marx - i quali hanno definito temi come la fede e la religione una gigantesca, scandalosa utopia, inventata dalla Chiesa per manipolare le coscienze e mantenere il controllo sul popolo...
La vita di Gesù non è imitabile, per la sua unicità; credo che nessuno abbia nulla da obbiettare: tuttavia possiamo e dobbiamo camminare dietro di lui, salendo, passo dopo passo, la montagna del Calvario, dove insieme con Lui, anche noi spalancheremo le braccia per abbracciare simbolicamente tutti, santi e peccatori.

Non siamo chiamati ad imitarlo nella sua divinità! Ma nell'umanità sì! E la sua umanità non era, la sua umanità non è diversa dalla nostra: la pagina di Marco che abbiamo appena ascoltato conferma quantomeno l'eccezionale somiglianza dell'umanità di Cristo, alla nostra umanità.
Il soggiorno nel deserto, tentato da Satana, rappresentò un momento decisivo per l'intera vicenda del Signore: durante questi quaranta giorni - il numero allude ai quarant'anni trascorsi nel deserto dalle tribù che avrebbero dato origine al popolo di Israele -, durante questi quaranta giorni, il Figlio di Dio regnò sulle creature, ricevette l'omaggio degli spiriti celesti, ma anche subì le lusinghe del diavolo: in questo singolare mix di potenza e fragilità, di bene e male, che è poi il mix della nostra vita, Gesù scelse di obbedire al Padre suo, e rifiutò di avere altro signore, se non Dio solo.
E a Dio solo rendeva conto del proprio operato: questo è il motivo del suo atteggiamento in tribunale, mentre i sommi sacerdoti, Erode, Ponzio Pilato lo interrogavano e lo accusavano: un atteggiamento - il silenzio - che ancora oggi, in contesto processuale, è interpretato come tacita ammissione di colpevolezza.
Se al termine della quaresima celebriamo il Triduo pasquale, i misteri della passione, morte e risurrezione del Signore, è perché, secoli e secoli prima, l'Onnipotente aveva già concluso un'alleanza con l'uomo; e non una volta soltanto... L'aveva pure rinnovata, esattamente come nel caso del diluvio universale, cui accenna la prima lettura: il segno dell'arcobaleno venne interpretato come, appunto, un segno del Cielo, il segno che la guerra tra Dio e gli uomini era finita per sempre.
E in questi termini è stato immortalato nella Bibbia e narrato dallo scrittore ispirato.
"Altri tempi", qualcuno penserà: oggi la scienza è in grado di spiegare i fenomeni naturali, come l'arcobaleno, senza scomodare gli Inquilini dei piani alti...
Beh, com'è, come non è, l'arcobaleno e la colomba con un ramo d'olivo nel becco sono stati scelti da alcuni movimenti politici e di liberazione sessuale come icone di riscatto, di riconciliazione e di pace. Quanto sarebbe bello se ci ricordessimo di avere una fede, di aver fatto anche noi delle scelte a forte rilevanza politica e sociale, non solo nei giorni della campagna elettorale, o dei vari ‘pride'...!
Ebbene, la quaresima funziona anche per questo: fare memoria, pardon, celebrare un memoriale, nella speranza di risvegliare un desiderio; e, da questo memoriale, attingere l'energia necessaria perché il desiderio si possa realizzare per noi e per quelli che verranno.