Omelia (18-02-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Distruggere per rinnovare

Distruggere per ricostruire. E' una logica che appartiene alle strategie di mercato, un sottile procedimento speculativo voluto anche da Kant e non di rado anche un processo che si vede nel corso della storia. In tanti avvenimenti occorsi nei secoli si è riscontrato non di rado come si sia pervenuti a soluzioni congeniali abbattendo situazioni precedenti per ricomporre delle novità. Uno storico cattolico commentava gli esiti della rivoluzione francese, la confisca dei beni ecclesiastici e la persecuzione degli Ordini Religiosi di fine Settecento come un atto di innovazione da parte di Dio: mancava la qualità di vita e l'esemplarità nel mondo ecclesiale e nella dimensione monastica e religiosa e allora Dio ha provveduto a debellare un sistema perverso e corrotto per instaurare un nuovo ordine. Era necessario demolire per ricostruire. Così come avviene in conseguenza del famoso episodio del Diluvio Universale, nel quale Dio si premura di salvaguardare la vita di ben otto persone giuste e due capi di bestiame per ogni specie per immergere la terra nelle acque che annientano per risanare l'umanità. Per opera di Dio un sistema corrotto e peccaminoso viene distrutto perché venga posta in essere un'umanità nuova, con la quale instaurare un'alleanza contrassegnata con l'arcobaleno, con la quale realizzare programmi di pace e di reciproca intesa, escludendo altre decisioni drastiche per l'avvenire. Nel suo dialogo con Abramo, Dio vorrebbe distruggere la città di Sodoma, ma grazie all'intercessione del patriarca, poi afferma "Non la distruggerò per rispetto ai dieci giusti che vi dimorano" e in tal senso dimostra di tener conto di un barlume, sia pure minimo, che vi alberga sul quale ricostruire tutto l'edificio. Anche nel caso del diluvio Dio si pone a tutela del solo giusto Mosè, della sua famiglia e di tutto il germe del creato e cionondimeno realizza la sua opera di salvezza distruggendo per risollevare.
Non per niente le acque del diluvio vengono citate nella liturgia del Battesimo, essendo esse una prefigurazione di queste: nel lavacro sacramentale veniamo trasformati e rigenerati a nuova vita. Nello Spirito Santo si distrugge in noi ciò che è sordido e deleterio e si instaura una dignità nuova ed elevata alla figliolanza divina.
Nel battesimo che Gesù riceve da Giovanni Battista nelle acque del Giordano, Gesù dimostra nella maniera assai esauriente di non essere stato interessato da alcuna forma di peccato, di non aver nulla di cui pentirsi e di non aver gravami sulla coscienza nei confronti del Padre, ma si sottomette al lavacro per umile disposizione a "compiere ogni giustizia", realizzando così in tutto la volontà del Padre suo. Anche in lui tuttavia vi è, in un certo qual modo, una sorta di "rinnovamento" operato da un siffatto lavacro: Gesù appena fuoriuscito dalle acque fluviali viene istituito Figlio di Dio e la sua gloria viene riaffermata e configurata anche nei nostri confronti. Inoltre inizia il suo ministero pubblico con l'esclamazione: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo" Nella sua persona e nel suo messaggio e soprattutto nelle sue opere di misericordia, Gesù dimostra la presenza di Dio in mezzo a noi, l'avvento del Regno che è presente eppure deve ancora giungere a compimento al momento del giudizio finale. Il Regno insomma c'è perché Gesù è presente, ma attendiamo che si realizzi in pienezza quando Questi giungerà per affermare la sua vittoria definitiva sul male, alla fine dei tempi. Frattanto, appunto sospinti dalla presenza di Gesù nella nostra vita, siamo incitati a lasciarci trasformare e ad operare in noi stessi un analogo processo di "distruzione" in vista del rinnovamento per eliminare in noi tutto ciò che è di ostacolo alla novità. Siamo invitati insomma a convertirci, a cambiare vita, a trasformare radicalmente noi stessi nella coscienza del Regno.
La conversione è un percorso continuo che certamente non sarà mai efficace qualora riteniamo che sia compiuto e definito una volta per tutte. Convertirsi vuol dire assumere consapevolezza di essere stati salvati, di aver ricevuto il dono immeritato che Dio stesso ci abbia raggiunti e risollevati; comporta la convinzione che la vita in Dio è più rassicurante e promettente rispetto alla farraginosa via del peccato che tanto ci affascina. Di conseguenza convertirsi determina il prendere posizione verso noi stessi, decidersi, radicarsi in Qualcosa anzi in Qualcuno che è Differente da noi ma che comunque ci è Vicino.
Gesù ci insegna la concretezza della conversione e del ravvedimento non con una speculazione teologica o spirituale, né con una serie di moniti e categoriche imposizioni, quanto piuttosto esponendosi a tutto che si oppone aspramente al fatto di doverci convertire. Affronta cioè da solo e a mani nude l'Avversario di ogni programma di vita spirituale, l'ostinato nemico di ogni progresso personale e collettivo, il disgregatore di qualsiasi traguardo raggiunto in ordine alla perfezione e alla virtù. In una parola affrontando nel deserto, cioè nell'assenza di garanzie e di sicurezze non solo materiali, le insidie del Tentatore in una situazione in cui chiunque potrebbe cedere alle sue lusinghe. La sua vittoria sul diavolo dopo quaranta giorni di prova attesta al nostro percorso liturgico spirituale della Quaresima ma anche la dimensione esistenziale propriamente cristiana per cui siamo chiamati a lasciarci trasformare, distruggere per rinascere a nuova vita perennemente